Location eventi Milano: dove organizzare un evento in una grande città

 

 

organizzare eventi a milano

Organizzare un evento è sempre un compito decisamente arduo, indipendentemente dal tipo di evento che si sta preparando. Ognuno di essi infatti offre diverse sfide, a partire dalla scelta della location. Trovare una location eventi Milano non è così semplice come si crede. Nella città lombarda sono infatti disponibili numerose strutture, non tutte però soddisfano tutti i requisiti di chi vuole dare vita ad un evento di elevata qualità, che risulti memorabile per coloro che vi prenderanno parte.

Perché a Milano

La questione è semplice, perché di location eventi a Milano se ne trovano moltissime e la città offre numerosi servizi decisamente comodi. Pur trattandosi di una metropoli italiana, Milano offre mezzi pubblici di alto livello, che servono ogni quartiere e ogni zona, anche in periferia. Questo consente a chi prende parte all’evento di arrivare anche in treno, o con un taxi, senza doversi disperare alla ricerca dei mezzi pubblici da utilizzare. Inoltre, sono disponibili anche molteplici luoghi in cui parcheggiare, perfetti per chi raggiungerà la festa o il meeting aziendale con mezzi propri. In più stiamo comunque parlando di una grande città, anche dal punto di vista turistico; trovare un albergo per fermarsi dopo l’evento non è poi così complicato, come invece potrebbe essere in città più piccole o meno organizzate rispetto a Milano. Scegliere una location per eventi a Milano è quindi un’idea geniale sotto diversi punti di vista.

Come dovrebbe essere la location

Ovviamente non tutte le strutture proposte per feste, banchetti, presentazioni sono adatte a ciò che stiamo organizzando. Conviene in genere fare un chiaro elenco di tutte le caratteristiche che la location dovrà avere a disposizione in modo che l’evento che stiamo organizzando sia veramente memorabile per i convenuti, e non in senso negativo. La metratura è importante, ma lo è ancora di più l’organizzazione degli spazi. Avere ad esempio la possibilità di restringere leggermente la sala dopo l’allestimento, in modo da sopperire all’eventuale mancanza di numerosi inviatati, oppure l’opposto, quindi ampliare lo spazio disponibile, sarebbe un’opzione del tutto pratica e molto utile. Sono molto apprezzate infatti le location per eventi a Milano che offrono diverse sale collegate tra loro, in modo da poter spostare alcuni invitati in sale laterali, ampliando così lo spazio a disposizione.

Vicino al centro o in periferia?

Chiaramente anche a Milano i palazzi più belli e famosi, i quartieri più noti, sono posizionati molto vicino al centro. È anche vero però che il centro cittadino è anche la zona più congestionata dal traffico, o dove è più difficile trovare parcheggio. Per questo motivo quando si sceglie una location per eventi a Milano è importante trovarne una non troppo vicina al centro, nella prima periferia. Questo garantisce la massima facilità di parcheggio nei pressi della struttura, oltre a un ottimo servizio per quanto riguarda i mezzi pubblici. Inoltre, la prima periferia milanese è facilmente raggiungibile anche dalle città vicine e da tutto l’hinterland, oltre ad essere scorrevole e con molti servizi nelle vicinanze.

Il nostro futuro era nelle scatole dei giovani della Lehman Brother

Perché siamo tutti figli di Lehman Brothers

Perché siamo tutti figli di Lehman Brothers

Il 15 settembre 2008 nella scatola di cartone che i giovani banchieri di Lehman Brothers si portavano in braccio lasciando i lussuosi uffici di New York di quella che era stata una delle grandi istituzioni finanziarie del pianeta e che era appena fallita trascinandosi dietro le economie di mezzo mondo, su ciascuna di quelle scatole, che contenevano gli oggetti personali dei manager, c’era una scritta invisibile, che siamo riusciti a leggere solo dieci anni dopo.

C’era scritto: Futuro. Ottimismo. Fiducia. Apertura. Tutte cose che stavano per andare in fumo assieme ai miliardi di dollari bruciati dal capitalismo più rapace.
Solo oggi infatti ci rendiamo conto che in fondo siamo tutti figli di Lehman Brothers; solo ora stiamo capendo che quel fallimento, che aprì la strada ad una crisi economica globale dalla quale l’Italia non è ancora definitivamente uscita, ha determinato il nostro modo di essere oggi. E quindi, di conseguenza, il quadro politico. A dirlo non è semplicemente una constatazione ma l’analisi oggettiva dei dati dell’osservatorio di SWG, che da vent’anni monitorano le opinioni e i sentimenti degli italiani.

Ebbene emerge chiaramente che il 2008 è stato l’anno di svolta, l’anno in cui l’Italia passa dall’essere una società aperta ad una che alza muri e invoca pistole. I grafici da questo punto di vista sono molto chiari: sono come quei giochi enigmistici in cui devi collegare dei puntini per scoprire la figura nascosta. La figura è un otto con due curve – mettiamo l’ottimismo e il pessimismo -, che si incrociano proprio a cavallo del 2008. Chi era in alto va in basso e viceversa. Cambia tutto.

Nel 2008, per esempio, il 62 per cento degli italiani pensa che l’Italia “si stia modernizzando”; oggi il 72 pensa che “stiamo regredendo”.

Nel 2007 il 51 per cento diceva di provare “un sentimento di inclusione” rispetto al resto del Paese; oggi il 68 per cento si dichiara “escluso” dai benefici del progresso.

Nel 2007 il 44 per cento sentiva di poter incidere sul proprio futuro; oggi sono appena il 26 per cento.

Nel 2009 il 53 per cento sentiva che dalla partecipazione all’Unione europea avevamo tratto più vantaggi che svantaggi; oggi lo sente appena il 18 per cento.

Infine, la progressiva chiusura verso l’immigrazione a cui assistiamo inizia nel 2003, è vero, ma dal 2008 ad oggi si sono persi 10 punti e oggi un sentimento di apertura è appannaggio solo di un italiano su tre (e ancora meno se si tratta di Islam).

Questi dati non si spiegano soltanto con la crisi economica globale iniziata nel 2008; e anzi non sarebbero interamente comprensibili se non tenessimo conto del fatto che a cavallo del 2008 succede un altro fatto altrettanto importante. Più che un fatto, si tratta di una autentica rivoluzione. La digitalizzazione infatti in quegli anni subisce una accelerazione mai vista con le precedenti rivoluzioni tecnologiche: arrivano gli smartphone (2007), le app (2008), le stampanti 3D (2009), la banda ultralarga (2010). L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, con date che cambiano da paese a paese, ma il risultato è identico. E il risultato è che quando l’economia riparte da quella crisi profonda lo fa su basi completamente nuove: il famoso 4.0. Un nuovo paradigma di ideazione, prototipazione, produzione, distribuzione e consumo. Che quasi sempre ci vede impreparati dal punto di vista delle competenze digitali, e quindi ci propone lavoretti saltuari e sottopagati.

Tutto nasce in quell’anno. In quell’anno avviene il passaggio da sogni – chi sogna più oggi un mondo migliore? – a bisogni. 

Averlo sottovalutato ci ha portato a dove siamo oggi.

FONE AGI

Buonsenso dove sei?

Mi sono fatta proprio una bella domanda…In questi giorni di inizio settembre sto ossevando situazioni veramente paradossali, non degne di un Paese normale come ho sempre creduto fosse il nostro.

il buonsenso di Alessandro Manzoni

Facciamo qualche esempio.

Il Pd sta spingendo i “naufraghi” della Diciotti a querelare il Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Forse i tapini lo hanno già fatto. Tenete presente che i suddetti signori sono tutti clandestini.

Si sta facendo già dallo scorso anno una campagna, oserei dire, feroce, sulla necessità di vaccinare i bambini di pochi mesi con un vaccino esavalente che pare avere avuto su molti di loro, effetti nefasti, per non dire mortali.

E’ di questi giorni la notizia che proprio i soliti naufraghi della Diciotti, sbarcati in Italia ed affidati alle amorevoli cure della Caritas, sono fuggiti e il loro stato di salute era ed è assolutamente preoccupante, molti di loro sono affetti da tubercolosi. Mi sembra alquanto desiderabile che si provveda ad una prevenzione sulla popolazione con riferimento alle zone dove questi signori si sono dati alla fuga.

Pare che il nostro governo abbia in mente di creare isole felici per gli anziani che solitamente, per riuscire a vivere decorosamente,  si trasferiscono in Paesi esotici che non tassano la loro misera pensione, a chi decidesse di trasferirsi nell’isola felice italiana, il fisco lascerebbe al pensionato la sua pensione intera.  Direi benissimo, se non fosse che una domanda  sorge spnontanea: dove sono state individuate queste isole felici? La risposta è agghiacciante: nei borghi disabitati del meridione, al fine di ripopolarli.  Il sospetto (direi molto fondato) e che a questi poveri cristi venga proposta una soluzione che li porti dritti alla morte.

Il Ministro Di Maio è il promotore di una proposta di legge che dovrebbe vietare l’apertura dei centri commerciali di domenica. Non amo particolarmente i centri commerciali, ma immagino che la loro apertura sia molto utile nelle grandi città. La gente che lavora tutta la settimana, si riserva di fare spesa la domenica. Infatti se ci capitate in quel giorno troverete una gran ressa. Per non parlare poi dell’occupazione che da una scelta simile, riceverebbe un colpo mortale.

Questi sono esempi banali di situazioni davvero incredibili e illogiche, domandiamoci però che cosa faranno nelle scelte importanti se per queste piccole cose danno fondo a tutta la loro fantasia malata?

Manuela Valletti

 

 

 

Negozi chiusi la domenica? Ma no…

negozi aperti la domenica

L’ultima proposta del vicepremier Di Maio sulle chiusure domenicali dei negozi fa discutere e molto. La mia sensazione è che buona parte di consensi o dissensi alla proposta derivino dal fatto che l’ha fatta, appunto, Di Maio.

Invece ogni tanto varrebbe la pena di far l’esercizio di separare le idee da chi le ha, per capire se sono buone o meno come idee in sé. Come si dice: anche un orologio rotto segna l’ora giusta, due volte al giorno. Dunque, mi sono detto, quali sono vantaggi e svantaggi di questa proposta?

I vantaggi mi sembrano tutti di tenore socio-etico: così la domenica non è più consumistica, si sta in famiglia, i lavoratori riposano e i consumatori potranno ben comprare il sabato o il lunedì il loro etto di prosciutto.

Lo svantaggio mi sembra di tenore squisitamente economico: non tanto per i consumatori –che appunto potranno aspettare per il loro etto di prosciutto– ma per i lavoratori dei negozi medesimi, che con ogni probabilità verranno ridotti: se una azienda lavora sei giorni e non più sette è abbastanza intuitivo che abbia bisogno di minor personale.

Modestamente, senza essere ministro dell’economia, penso che in questo periodo di grande disoccupazione immaginare provvedimenti che mettano a rischio il lavoro che c’è sia un po’ avventato. E se il lavoro festivo non è retribuito a dovere, bisognerà fare una legge perché lo sia, non per eliminarlo.

Io la penso così, senza pretendere che sia la verità. E se alla fine di questo articolo non avete capito se per me Di Maio sia un genio o un pirla lo riterrò un successo.

di LUCA IACCARINO

FONTE

Il Patrono

S.AMBROGIO, IL PATRONO DI MILANO

S.AMBROGIO PATRONO DI MILANO

Ambrogio (339-397). Santo e patrono di Milano, che lo festeggia ogni anno il 7 dicembre. Dal latino Ambrosius deriva il nome di ambrosiani dato da lui ai cittadini milanesi. Nato a Treviri in Germania nel 339 circa da genitori di fede cristiana, nell’anno 370 giunge a Milano dalla Pannonia (attuale Ungheria) come governante della Provincia Emilia-Liguria. Intervenuto per comporre i conflitti tra ariani e cattolici dopo la morte del vescovo Aussenzio, Ambrogio viene acclamato vescovo di Milano prima ancora di essere battezzato, ricevendo poi la consacrazione il 7 dicembre del 374. Amato dalla popolazione per il suo carattere forte e per il suo senso della giustizia, combatte il paganesimo dilagante e l’eresia ariana, acquisendo una crescente autorità all’interno dell’impero. La sua importanza religiosa consiste nell’aver unificato la liturgia (oggi definita “rito ambrosiano”), aver dato grande impulso al monachesimo e aver composto diversi inni per voci miste. Ma la sua grandezza politica Ambrogio la dimostrò nel coraggio con cui seppe opporsi al potere temporale degli imperatori, costringendo Teodosio a dichiarare il Cristianesimo religione di stato. Fece donazione dei suoi beni alla Chiesa milanese, e non esitò a far fondere i gioielli del Tesoro ecclesiastico per riscattare la vita dei prigionieri cristiani caduti nelle mani dei barbari. Ambrogio morì a Milano nel 397 lasciando a suo successore Simpliciano.

Bibliog. Storia di Milano, vol. I, Fondazione Treccani 1953

Sito da visitare per approfondire l’argomento:

Ambrogio nella storia 
a cura degli allunni del Liceo Berchet