Suicidio assistito: una scelta di civiltà

“Ne è valsa la pena”, dice chi si è battuto per la sentenza sul suicidio assistito

Per il radicale Marco Cappato e l’ex fidanzata di Dj Fabo, Valeria Imbrogno, la battaglia per il diritto di morire è solo all’inizio

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Flavio Lo Scalzo / Agf
Marco Cappato e Valeria Imbrogno

“Adesso sì. Adesso so che tutte le fatiche, la stanchezza e la sofferenza di Fabo non sono state inutili. Questa vittoria è per lui. È per un uomo che se n’è andato sapendo di aver tirato un pugno potente a un avversario assurdo. Il resto del match lo abbiamo vinto noi, tutti quanti assieme”. In un’intervista al Corriere della Sera Valeria Imbrogno, l’ex fidanzata di dj Fabo commenta così la sentenza della Corte Costituzionale.

“Alla fine mi aspettavo che andasse così, era qualcosa di più di una speranza. Ho avuto la netta sensazione che fossimo finalmente arrivati al punto” confida Imbrogno, sicura che “i giudici fossero persone illuminate”. Quanto al fatto che ci siano medici che hanno annunciato obiezione di coscienza, l’ex fidanzata di dj Fabo dice “io sono serena da sempre” e che “ciascuno è libero di usare la propria coscienza come meglio crede”, il limite – semmai – “è non imporre agli altri le sue decisioni”. E aggiunge: “Il corpo di Fabo era diventato una gabbia e lui ha vissuto in quella prigione per due anni e nove mesi, cieco, tetraplegico, con dolori inenarrabili e difficoltà crescenti ogni santo giorno. Se una persona in queste condizioni sogna di morire a casa sua trovo profondamente ingiusto che qualcun altro gli dica di no”.

Su la Repubblica, l’altro protagonista della vicenda, il radicale Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che ha aiutato dj Fabo ad alleviare le proprie sofferenze sostenendolo nella scelta del suicidio e successivamente ha combattuto la battaglia legale davanti alla Corte, assieme a Valeria Imbrogno, commenta così la sentenza in un’intervista a la Repubblica: “Ho rischiato dodici anni di carcere ma lo rifarei senza pensarci due volte: adesso siamo tutti più liberi. Anche quelli contrari. Bisogna mettersi in gioco in prima persona, come hanno fatto Fabo o Beppino Englaro e Welby, usando le loro tragedie, le loro storie private per la libertà di tutti: senza di loro non saremmo mai arrivati a questa sentenza. Perché i partiti da anni si rifiutavano di affrontare il problema del fine vita, del diritto di scelta, della gente imprigionata dalla malattia, di una medicina che va avanti e che cambia i confini tra vita e morte”.

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