Mario Botta: «La nuova torre della Scala pronta nel 2024. Milano? Città di archistar che si è arresa alla globalizzazione»

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  • Mario Botta e accanto la torre della Scala

«La nuova torre è nata poiché la Palazzina di via Verdi era l’ultimo spazio disponibile per il teatro, che ha un perimetro circoscritto tra segni storici. È stato un colpo di fortuna. Così, nel 2020 si è riproposto il tema di ampliare il teatro per risolvere due temi: la sala prove per orchestra (ove è necessaria un’altezza importante) e una sala prove per il balletto. Si aprirà nel 2024».

L’ha soddisfatta il rapporto con la Scala?
«Sì, anche l’intervento del 2004 è stato accettato bene, sebbene all’inizio ci fosse resistenza perché realizzato tutto in verticale: ma spazi in larghezza non ce n’erano! Oggi il teatro ha una doppia torre: la torre scenica e la nuova torre di servizio di 17 piani, che va in profondità per 14 metri. È un volume inimmaginabile, una sorta di Sant’Elia portato nella modernità: prende il motivo delle finestre sovrapposte del fronte stradale e aggiunge mensole-contrafforti per creare un altro paesaggio fisico. Si richiama al cilindro e alla torre scenica del 2004 che lavoravano sulla gravità, ma ha un linguaggio diverso. Il tutto credo sia un omaggio alla Milano moderna, quella dei Portaluppi e dei Gardella».

Che cosa ne pensa degli interventi sorti in questi anni a Milano, come Citylife o Garibaldi-Repubblica?
«Sono frutto di una crescita autonoma alla quale non sono legato. Sono funghi inattesi e senza una natura del terreno proprio. Prima anche i grattacieli milanesi sorgevano legati a un linguaggio moderno di grande dignità formale e di riferimento».

Non esiste più identità urbana?
«Credo che sia una osservazione doverosa da fare. Sembra che il territorio urbano non esista più, è come se si costruisse sul deserto o in un prato. Le architetture sono diventate degli oggetti da guardare, uno è più storto dell’altro, ma non c’entrano niente con la storia di Milano, neanche la accennano. Non hanno memoria, non ricordano quella Milano Moderna che c’è stata qui e non altrove. Qui c’era un grande studio sull’angolo urbano, sulla costruzione in pietra: tutto dimenticato per un’altra tecnica e un’altra estetica».

Milano è senza memoria, è diventato anche nell’architettura uno spazio fluido, indifferente alla storia e disponibile a tutto?
«Noto una certa indifferenza all’architettura. Milano ha sposato la condizione della globalizzazione. La Torre Velasca può piacere oppure no, ma è un edificio milanese. Citylife nasce senza lettura del contesto storico, senza l’identità che il Moderno aveva preservato. Il Moderno è l’ultima stagione architettonica milanese».

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Autore: redazione@

giornalista e scrittrice milanese, lavora sul web dl 1996 come freelance, ha creato diversi siti di informazione al servizio dei cittadini

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