La pagina che è stata scritta la passata settimana dai BRICS è una di quelle che davvero cambierà la storia delle relazioni internazionali.
Dopo essersi riunita a Johannesburg per il suo annuale incontro, l’alleanza dei Paesi fondati originariamente da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica ha deciso ufficialmente di aprire le porte ad altri sei Paesi che avevano presentato domanda.
E’ così che sono entrati a far parte del club Iran, Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Etiopia e gli Emirati Arabi Uniti.
Il solo fatto di vedere due Paesi quali Iran e Arabia Saudita essere parte della stessa alleanza geopolitica dovrebbe dare l’idea della rivoluzione, o forse dovremmo dire controrivoluzione, dei rapporti internazionali che è in corso.
Un tempo Teheran e Riyad erano su sponde opposte e le tensioni tra i due Paesi erano sempre costanti tanto da far pensare che una guerra tra Iran e Arabia Saudita fosse imminente da un momento all’altro.
Parliamo di due Paesi che hanno camminato su percorsi geopolitici ed economici del tutto incompatibili e in aperto contrasto gli uni contro gli altri.
Da un lato, abbiamo una nazione che è stata creata dai poteri dell’anglosfera negli anni 20 del secolo scorso e che nonostante le apparenze politiche non è mai stata realmente ostile allo Stato di Israele.
Riyad negli ultimi decenni ha portato in essere una politica estera che è sostanzialmente quella che le è stata dettata da Washington, dove le lobby sioniste e neocon l’hanno fatta da padrone indiscusse fino agli anni dell’amministrazione Trump.
Dall’altro invece abbiamo un Paese che esiste da millenni e che aveva già intrapreso negli anni 50 del secolo scorso una strada che portava lontano dagli interessi angloamericani quando salì al potere il presidente iraniano Mossadegh.
Mossadegh fu l’uomo che per primo intuì la necessità di nazionalizzare le compagnie petrolifere per impedire che l’Iran fosse ridotto ad un potentato delle famigerate sette sorelle che allora, come oggi, dominavano il mercato della distribuzione degli idrocarburi.
La visione di un Iran indipendente e libero da tali poteri fu quella che costò al presidente il rovesciamento per mano della CIA attraverso uno dei suoi famigerati colpi di Stato che hanno contraddistinto tutta la politica estera americana del secolo scorso.
Washington è stata molto più che la capitale politica degli Stati Uniti.
Washington è stata la capitale della sovversione internazionale perché la sua imponente struttura militare e di intelligence consentiva a quei poteri che dominano la Casa Bianca di rimuovere quei capi di Stato e di governo che costituivano una “minaccia” per l’anglosfera ma più in generale per tutto l’apparato mondialista fondato sulla supremazia militare della NATO.
Quando venne instaurato al potere in Iran lo scià di Persia, Teheran si ritrovò ad essere per molti anni uno Stato satellite degli Stati Uniti fino a quando la rivoluzione islamica del 1979 non restituì nuovamente a questo Paese tutta l’indipendenza e la sovranità che le erano state portate via negli anni del golpe della CIA.
I contrasti tra Riyad e Teheran non sono stati altro che il risultato di due distinte visioni fondate rispettivamente una sulla supremazia angloamericana, e l’altra invece sul principio della sovranità nazionale degli Stati.
Non sorprende quindi vedere l’Iran entrare nel mondo multipolare ma piuttosto sorprende vedere l’Arabia Saudita spostarsi dai suoi vecchi referenti per poter salire di corsa sul treno della multipolarità.
Ciò è il diretto risultato della profonda crisi dell’anglosfera dovuta soprattutto al disimpegno americano iniziato con l’era dell’amministrazione Trump e che non si è affatto arrestato con la cosiddetta amministrazione Biden ma si è invece fatto persino più intenso.
Gli Stati Uniti rifiutano il ruolo di garante dell’impero che i poteri del Council for Foreign Relations avevano concepito per essi e ciò ha portato l’architettura del mondialismo ad essere priva del suo fondamentale perno.
Al tempo stesso, a Oriente, l’alleanza dei BRICS sta sfruttando il vuoto dell’impero americano per poter costruire una valida alternativa geopolitica multipolare a quella che per decenni è stata la dittatura dell’unipolarismo americano.
Gli anni del dominio del mondo unipolare
Dopo la caduta del muro di Berlino si è indubbiamente aperto un vuoto nelle relazioni internazionali.
La logica del conflitto controllato tra i due blocchi era giunta al suo capolinea nel momento stesso in cui iniziò nei primi anni 80 l’era del presidente sovietico Gorbachev, apprezzatissimo dagli ambienti liberali dell’Occidente, e che fu di fatto il vero sicario che accompagnò all’estinzione il blocco sovietico.
L’URSS che fu creata attraverso i finanziamenti di Wall Street ai bolscevichi andava ora dismessa per poter lasciare una immensa prateria all’impero americano. La NATO che formalmente aveva esaurito la sua ragion d’essere piuttosto che essere liquidata iniziò ad espandersi sempre di più e ad annettere molti Paesi dell’Est Europa, passati da un sistema di natura collettivista ad uno nel quale gli oligarchi del neoliberismo erano i veri padroni indiscussi delle economie nazionali.
Enormi saccheggi furono perpetrati contro questi Paesi, su tutti la Russia che subì una delle privatizzazioni di massa più violente e criminali della storia moderna, forse inferiore soltanto all’altra svendita collettiva dei gioielli di Stato attuata da Mario Draghi e dagli altri agenti della finanza anglosassone a bordo del panfilo della Regina Elisabetta la notte del famigerato 2 giugno 1992.
Il mondo per anni è stato sotto il dominio indiscusso di questo potere che non ha conosciuto ostacoli fino a quando gli eventi menzionati sopra, l’era di Trump fondata sul principio della difesa della sovranità americana e il multipolarismo, non hanno portato alla conclusione dell’impero e alla fine della stagione della globalizzazione.
I BRICS, Goldman, e il depistaggio della falsa controinformazione
A questo punto dell’analisi però è necessario soffermarsi un istante su un argomento piuttosto in voga negli ambienti che noi abbiamo ribattezzato della falsa controinformazione.
E tale argomento è quello secondo il quale i BRICS sarebbero parte del disegno originario del globalismo in quanto essi non sarebbero altro che il risultato della strategia del colosso della finanza mondiale Goldman Sachs.
Tale tesi si fonda sul fatto che nel novembre del 2001 la banca newyorchese scrisse un documento intitolato “Costruire una migliore economia globale: BRICS”.
Nel documento redatto dall’economista Jim O’Neill si fanno delle considerazioni piuttosto ovvie sul fatto che la crescita dei Paesi che compongono l’acronimo BRICS, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, sarà presto superiore a quella dei Paesi che invece appartengono all’eurozona.
La ragione della esplosione della crescita di questi Paesi in quegli anni e negli anni successivi è dovuta principalmente al fatto dell’apertura dei mercati internazionali.
Era iniziata da alcuni anni la stagione della globalizzazione che è stata voluta dalla finanza internazionale per consentire lo spostamento delle produzioni basate negli Stati Uniti e in Europa verso la Cina.
Il mostro cinese che ha iniziato a produrre merci a bassissimo costo e di bassissima qualità è il risultato diretto della sua ammissione al club dell’Organizzazione mondiale del commercio voluta dall’amministrazione Clinton nel 2000.
La globalizzazione potrebbe essere definita come la parte economica del fenomeno politico del globalismo.
I grandi poteri che hanno partorito tale visione quali il mondo delle banche e delle mega-corporation avevano in mente una governance globale nella quale il sistema economico dominante era quello del neoliberismo.
E poter lanciare il suo assalto all’industria Occidentale, le lobby neoliberali avevano bisogno di un enorme bacino di prodotti a basso costo per deindustrializzare l’Europa e gli Stati Uniti e creare un’economia dove la classe media viene letteralmente spazzata via.
Le statistiche degli ultimi 20 anni sono lì a ricordarci i “successi” della globalizzazione che ha trasferito le risorse economiche nelle mani di un ristretto manipolo di capitalisti transnazionali.
Era del tutto naturale dunque che Goldman predicesse l’esplosione di mercati quali quelli indiani e cinesi.
Ciò però ci porta a considerare l’”argomento” della falsa controinformazione che in base a tale documento afferma che alla fine i BRICS non sono altro che l’altra faccia della medaglia del globalismo.
Innanzitutto, occorre fare ciò che questo filone disinformativo non fa. Occorre contestualizzare. Siamo nel 2001 e allora l’idea di un mondo multipolare nemmeno esisteva.
I Paesi dei BRICS erano dominati da leader che non avevano nessuna seria intenzione di ostacolare il dominio dell’anglosfera o di opporsi all’idea di un mondo che non fosse quello fondato sulla supremazia di una governance globale.
La presidenza di Putin muoveva i suoi primissimi passi quando sostituì l’anno precedente il fantoccio della CIA, Boris Eltsin, che aveva consentito il saccheggio del 1992 e che era oggetto di derisione nei consessi internazionali per i suoi evidenti problemi di alcolismo.
Solamente negli anni successivi iniziano ad essere seminati i primi germogli della nuova politica estera del presidente russo che oggi sono divenuti la robusta pianta del multipolarismo.
Vladimir Putin è l’uomo che restituisce sovranità e soprattutto dignità ad una Russia sin troppo vilipesa sui tavoli internazionali.
E la sua visione di politica estera e internazionale è sostanzialmente la stessa di quella che ha oggi.
I suoi interventi sono lì a testimoniare che il presidente russo ha sempre puntato la bussola della sua politica estera sul multipolarismo.
Il discorso che Putin ha tenuto nel 2007 alla conferenza di Monaco è esemplare a questo proposito.
Davanti a lui c’erano gli esponenti di quel mondo Euro-Atlantico che avevano stabilito arbitrariamente di essere loro i signori della storia e del mondo intero.
Il presidente russo denuncia immediatamente la diplomazia delle bombe che aveva portato quattro anni prima a radere al suolo un Paese, l’Iraq, solamente perché il suo leader, Saddam Hussein, era divenuto un intralcio per le lobby neocon di Washington.
La stessa logica delle bombe era stata applicata ad un altro leader, Muhammar Gheddafi, che venne ucciso nel 2011 per mano della NATO in quella che si può definire come uno dei più atroci crimini di guerra commessi dal patto atlantico.
E anche in quegli anni, Putin denunciò la logica della NATO fondata sugli assassinii politici di tutti quei leader che rappresentavano una “minaccia” per i tiranni dell’atlantismo.
La Russia parlava già sedici anni fa dell’esigenza di costruire un mondo multipolare che fosse fondato non sulla supremazia di un impero ma piuttosto sul rispetto della sovranità nazionali.
Un blocco che non fosse fondato sull’ipocrita principio dell’esportazione del culto liberale dei diritti umani ma su quello del rispetto delle culture di ogni singolo Paese del pianeta.
È così che nel 2009 nascono ufficialmente i BRICS. Per cercare di mostrare al mondo un’alternativa che non sia quella del vassallaggio all’impero anglo-americano ma una dove le nazioni hanno la possibilità di potersi sviluppare e poter dire la loro sui tavoli internazionali.
È vero che Goldman Sachs può aver per prima creato l’acronimo BRICS nel suo documento del 2001, ma l’alleanza geopolitica fondata dalla Russia negli anni successivi nulla ha a che vedere con le aspettative e i propositi del colosso bancario.
Goldman voleva un mondo dove al centro ci fosse una governance globale. Goldman voleva in altre parole annettere i Paesi dei BRICS nel 2001 per evitare che importanti economie fossero escluse dal progetto e che queste potessero poi compromettere in qualche modo il dominio del globalismo.
Del resto, se l’ultimo stadio di questa visione era quello di erigere un supergoverno globale come si poteva pensare che questo potesse nascere senza Russia, Cina e India?
Questa era l’esigenza che portò Goldman a scrivere quel documento. Ciò non toglie però che alcuni Paesi dei BRICS siano stati effettivamente per molti anni il motore propulsore della globalizzazione come è stata indubbiamente per la Cina.
Il divorzio della Cina dal globalismo
Ciò ci riporta a quanto abbiamo detto poco prima. È necessario contestualizzare per poter leggere con un minimo di logica gli eventi degli ultimi anni.
Quando Soros nel 2010 tesseva le lodi della Cina lo faceva perché a quell’epoca Pechino non aveva mostrato nessuna intenzione di disallinearsi da questi poteri.
Quando però lo stesso Soros nel 2019 affermava che la Cina da lui tanto decantata negli anni prima era divenuta una minaccia per la società aperta, è evidente che l’idillio degli anni precedenti si era interrotto.
La Cina sotto la leadership di Xi Jinping non ha mostrato tanto un Paese interessato a fondere la sua sovranità in una struttura sovranazionale quanto uno più incline a rafforzare la propria autonomia e spesso a perseguire i propri interessi economici senza alcuna remora o scrupolo.
L’avvicinamento della Cina alla Russia non ha portato però ad uno sbilanciamento dei rapporti tra i due Paesi a favore di Pechino.
In questo momento, è indubbiamente la Russia il Paese protagonista della nascita del mondo multipolare. È la Russia il Paese che sta accompagnando la decolonizzazione africana ed è la Russia il Paese che sta assestando la spallata decisiva alla NATO con la guerra in Ucraina.
La Cina di Xi Jinping ha compreso che il percorso migliore di politica estera per preservare la propria sovranità non è certo quello di seguire la strada del mondo Euro-Atlantico in declino ma piuttosto quello di rafforzare sempre di più i rapporti con la Russia e i BRICS.
L’approccio poi della Russia ai rapporti di politica estera è lì a smentire qualsiasi mistificazione della falsa controinformazione al riguardo del mondo multipolare.
Si prenda, ad esempio, la situazione africana. Quale Paese europeo ha cancellato debiti di miliardi di euro verso i Paesi africani e quale Paese europeo sta aiutando questi Paesi a conquistare la sovranità che nazioni coloniali come la Francia avevano loro sottratto?
La risposta è: nessuno. Solo la Russia ha intrapreso questo inedito percorso. La Russia ha dimostrato di essere un Paese che tratta da pari gli altri Paesi a differenza dell’anglosfera che l’unico rapporto di amicizia che prende in considerazione è quello di una colonia che obbedisce ai desiderata del padrone.
C’è un certo ingannevole pensiero gnosticista che vuole assimilare tutto e tutti e far credere che non esistano differenza di sorta tra i poteri del mondialismo e coloro che invece gli si oppongono da ormai 20 anni.
E tale pensiero è il risultato di una massiccia campagna disinformativa concepita nelle stanze dei servizi Occidentali che si premurano di togliere alle masse ogni possibile riferimento attraverso un esercito di propagandisti prezzolati che veicolano tale messaggio.
Tale messaggio è appunto ciò che abbiamo detto fino ad ora. È una menzogna smentita facilmente da fatti inconfutabili.
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