Il commercio internazionale si sta contraendo ed è diminuito al tasso più veloce lo scorso mese di luglio. Infatti è sceso del 3,2% rispetto al luglio dell’anno scorso al ritmo più rapido dai primi mesi della pandemia nel 2020 dopo essere diminuito del 2,4% in giugno. Questo calo è sicuramente dovuto in gran parte al forte rallentamento della crescita in Europa e in Cina e in misura minore negli Stati Uniti. Questa spiegazione non è però esaustiva. Il calo del commercio internazionale è anche un primo sintomo delle crescenti tensioni geopolitiche e del cambiamento delle politiche economiche americana ed europea che sono passate dalla globalizzazione alla scelta di privilegiare la ricostruzione della loro base industriale grazie a forti sussidi statali. Infatti questo fenomeno è anche figlio degli anni della COVID, che ha messo in luce la dipendenza delle economie occidentali dalla Cina. La decisione di Washington e di Bruxelles di ridurre questa dipendenza sta comunque provocando effetti non previsti. Il più importante è la formazione di un blocco economico e commerciale formato dalla Cina e da una gran parte dei Paesi del Sud-est asiatico. Infatti i dati svelano che l’export cinese negli Stati Uniti è sceso del 14% dal 2017 al 2022, ma nel frattempo sono esplosi quelli tra la Cina e i Paesi dell’Asia sud orientale e contemporaneamente le esportazioni di questi ultimi verso i Paesi occidentali. Cosa sta succedendo? In pratica per aggirare i dazi imposti da Donald Trump e mai abrogati dall’amministrazione Biden e le altre misure restrittive adottate dagli Stati Uniti una grande parte dell’export cinese fa tappa in Vietnam, Malesia, Indonesia, Tailandia ecc. per poi essere assemblato e inviato in Occidente. Nei primi mesi di quest’anno le esportazioni cinesi in questi Paesi sono aumentate dell’80% rispetto a cinque anni fa e il medesimo fenomeno sta accadendo per gli investimenti diretti cinesi che hanno superato quelli americani. Paradossalmente, la politica tesa a separare la Cina dagli Stati Uniti sta creando legami finanziari e commerciali sempre più forti tra Pechino e i Paesi del Sud-est asiatico alcuni dei quali sono alleati degli americani. Questa politica di Pechino è simile a quella condotta nei confronti del cosiddetto «Sud Globale» con l’aggiunta dei Paesi africani nel caso di grandi investimenti infrastrutturali. Ora la Cina deve superare grandi difficoltà economica dovute in primis allo scoppio dell’enorme bolla nel mercato immobiliare, ma questa non ha impedito, stando agli ultimi dati, una forte ripresa dei consumi e della produzione industriale. Inoltre le speranze di una crisi profonda della Cina si scontrano con la realtà che anche gli Stati Uniti e la Corea del Sud hanno conosciuto nella loro storia gravi crisi, che hanno interrotto solo temporaneamente la loro traiettoria di crescita, poiché – come la Cina – sono state sostenute da una forte capacità innovativa e tecnologica e da un forte aumento della produttività.
Tra i tre blocchi (Asia, America del Nord ed Europa) che si stanno formando quello che sta peggio è il Vecchio Continente. A tale scopo non bisogna guardare tanto ai dati di breve termine, che sono spesso alterati da fenomeni congiunturali o da eventi particolari, ma alle tendenze di lungo termine. La Cina negli ultimi 50 anni è cresciuta a ritmi mai conosciuti nella storia e ora incalza gli Stati Uniti con un Prodotto interno lordo (PIL) che si aggira attorno ai 23 mila miliardi di dollari. Invece l’economia europea che nel 2008 era maggiore di quella americana (16,2 mila miliardi contro 14,7 mila miliardi) ha oggi dimensioni inferiori di un terzo rispetto a quella statunitense (19,8 mila miliardi di dollari contro i 25 mila miliardi degli Stati Uniti). Se da questi dati si esclude l’economia britannica , il PIL americano è maggiore del 50% rispetto a quello europeo. Questo scarto è destinato ad allargarsi nei prossimi anni per molti motivi: è assente nel campo delle nuove tecnologie e ha una struttura industriale energivora che sta già subendo le conseguenze della guerra in Ucraina e che non si può più alimentare con un gas russo venduto a sconto, ma deve rifornirsi grazie al gas liquefatto americano che costa da tre a quattro volte di più. A dimostrazione della perdita di peso del Vecchio Continente, l’Europa domina ancora nella moda e nelle attività legate allo stile di vita, un fenomeno caratteristico delle economie che affrontano un inesorabile declino di potere, di influenza e di ricchezza.