La matematica per capire Affari tuoi, il Superenalotto e le scommesse

MARZO 2024 – 14:30

Settantasette milioni di euro di jackpot, eppure la strategia migliore è quella di non giocare. Oppure finali al cardiopalma con premi da capogiro che fanno riflettere su quanto valga la pena di proseguire ad aprire pacchi, eppure il metodo per aggiudicarsi più soldi possibili rimane spesso quello di ignorare le offerte del dottore ed accettare il cambio solo in condizioni particolari. Dalle scommesse calcistiche fino al Superenalotto e persino a programmi di successo come Affari tuoi, la matematica si conferma l’unica variabile da non ignorare se non si vuole correre il rischio di cadere in tranelli realizzati da chi semplicemente il gioco l’ha pensato e costruito. Nonostante l’impulso emotivo di scegliere determinati numeri in base a sogni, premonizioni, date di nascita o di anniversario, è possibile dimostrare statisticamente che l’unica cosa che conta davvero è fermarsi, respirare e fare i conti, i quali mostrano che la strategia migliore è quella di non giocare nel caso delle scommesse e di non accettare offerte significativamente inferiori al valor medio, preferendo piuttosto il cambio solo se i pacchi di basso valore (i pacchi blu) risultano numericamente inferiori di quelli di alto valore (i pacchi rossi) nel caso di Affari tuoi.

Il concetto di Valore atteso

Per comprendere i meccanismi che regolano la maggior parte dei giochi d’azzardo, risulta fondamentale il concetto di “valore atteso” di una variabile aleatoria, chiamato anche “media” o “speranza matematica”. Tale quantità non è altro che la media dei valori possibili pesati rispettivamente con la loro probabilità di essere assunti. Si calcola similmente ad una media aritmetica pesata (si pensi per esempio a voti di scuola dal valore diverso), con l’unica differenza che il peso è dato dalla probabilità dell’evento. Considerando per esempio il lancio di una moneta equa che aggiudica il punteggio +1 per ogni testa e 0 per ogni croce, il valore atteso in un lancio sarà 0,5, mentre sarà 5 in 10 lanci e 25 nel caso vengano effettuati 50 lanci. Considerando un dado equo con sei facce e aggiudicando punteggi uguali al valore del lato estratto (+1 se esce 1, +2 se esce 2 e così via…), è facile accorgersi che “mediamente” ad ogni lancio ci si aspetta di ottenere 3,5, in quanto la somma dei 6 valori, ognuno moltiplicato per la probabilità di essere assunto (1/6) è proprio 3,5.

La matematica del Superenalotto

Usando questo semplice concetto non è difficile dimostrare che nel caso del Superenalotto – così come in tutti gli altri casi di scommesse dove le quote vengono appositamente regolate in maniera simile – la strategia migliore per vincere soldi è sempre quella di non giocare. Per comprenderne meglio i meccanismi, si può partire da due esempi che forniscono tutti gli elementi matematici che possono poi essere estesi al Superenalotto. Si immagini di scommettere 1 euro su un gioco che prevede il lancio di moneta equa che raddoppia l’importo nel caso di vincita (si supponga testa) e prevede invece la perdita della somma scommessa nel caso opposto (si supponga croce). In questo caso si tratta di un caso perfettamente bilanciato dove il giocatore vince mediamente un euro per ogni euro speso (ovvero mediamente non vince niente). Infatti, il valore medio risulta essere uguale a 1 moltiplicato per 0,5 (l’euro guadagnato moltiplicato per la probabilità dell’evento), a cui va sommato -1 moltiplicato per 0,5 (l’euro speso per giocare che viene perso, moltiplicato per la probabilità di perdita). Sommando si ottiene 0,5 – 0,5, che fa 0. Si supponga invece di partecipare ad un gioco che prevede la scommessa di un euro su quale tra 3 scatole contenga due euro, che vengono vinti nel caso di scelta corretta. Applicando lo stesso principio, non è difficile mostrare che in questo caso per ogni euro giocato vengono attesi 66,6 centesimi di vincita, il che equivale a dire che ad ogni tentativo corrisponde una perdita media di 33,3 centesimi. Infatti, la vincita media risulta essere uguale a 1 moltiplicato per un terzo (l’euro guadagnato moltiplicato per la probabilità di vittoria), a cui bisogna sommare due volte i casi di perdita, che prevedono ciascuno -1 moltiplicato per un terzo. La media risulterà quindi uguale a 1*1/3 + (-1)*1/3 + (-1)*1/3, che infatti fa circa -0,333 (ovvero -33,3 centesimi).

È facile mostrare quindi che per creare una scommessa svantaggiosa per il giocatore e favorevole al banco basta stabilire una vincita la quale assicuri comunque che lo sfidante perda mediamente denaro ad ogni tentativo. È lo stesso principio sfruttato dalla roulette dei casinò (che infatti paga 36 volte la somma scommessa su un numero che però ha probabilità 1/37 di essere scelto) e persino dal Superenalotto: al momento della stesura di questo articolo la quota jackpot assicurata nel caso di 6 punti risulta essere pari a 77.000.000€. Si tratta di una cifra esorbitante e che anche per questo può trarre in inganno, ma che è in realtà irrisoria se si pensa alla probabilità di estrarre effettivamente tutti e 6 i numeri fortunati, che è di 1/622.614.630. Lo stesso si può dire per i 5 punti, che pagano circa 32.000€ nonostante la probabilità di ottenerli sia una su oltre un milione e così via. Sviluppando i calcoli risulta che, mediamente, ogni euro giocato corrisponde ad una vincita inferiore ai 50 centesimi, da cui consegue che la cosa più conveniente da fare è non giocare.

La matematica di Affari tuoi ed il problema di Monty Hall

Per quanto riguarda il famoso programma televisivo Affari tuoi, la sfida prevede 20 pacchi di diverso valore, di cui la metà corrispondente ad una vincita inferiore ai 500 euro (i cosiddetti “pacchi blu”) e l’altra metà corrispondente a somme che vanno dai 5 a 300 mila euro (i cosiddetti “pacchi rossi”). Di questi, solo uno viene assegnato al giocatore, il quale durante il gioco dovrà scegliere quali scartare, sperando chiaramente di tenere per ultimi quelli dal valore maggiore e di ritrovarsi quindi con un pacco vincente. Durante l’apertura però, entra in scena il Dottore, che può decidere di proporre al giocatore di terminare il gioco in cambio di un’offerta o di sostituire il pacco con un altro tra quelli ancora in gioco. Dal punto di vista prettamente teorico e assumendo come unico obiettivo quello di assicurarsi la maggiore possibilità di vincere più denaro possibile, la strategia statisticamente migliore è quella di rifiutare qualsiasi offerta al di sotto del valor medio e di accettare il cambio solo in determinate situazioni che aumenterebbero la probabilità di vittoria.

Per quanto riguarda le offerte del Dottore quindi, basta calcolare direttamente la media probabilistica dei pacchi rimasti e valutare se la quota proposta è inferiore o maggiore. Per esempio, nel caso in cui i pacchi rimasti siano del valore di 0€, 1.000€, 20.000€ e 100.000€, il valore medio del pacco del concorrente (così come quello degli altri 3 pacchi in gara) sarebbe di 30.250€, il che significherebbe che le proposte inferiori a tale quota andrebbero teoricamente rifiutate. Tuttavia, osservando diverse puntate non sarà difficile accorgersi che le offerte del dottore sono spesso significativamente inferiori al valor medio in gioco. Il motivo però si basa presumibilmente sul fatto che, essendo un programma televisivo, le offerte devono garantire spettacolarità e suspense, giocando inoltre sul fatto che il concorrente non è una macchina ma un essere umano per cui, per i più svariati motivi, può risultare più comoda una somma garantita piuttosto che rischiare di tornare a casa a mani vuote.

Ma se le offerte possono essere più o meno discutibili in quanto suscettibili a motivi privati ed a bisogni economici, la scelta di cambiare o meno il pacco è prettamente teorica e probabilistica, e quindi determinata dall’avanzamento del gioco. Per capire quando è vantaggioso scambiare o meno il proprio pacco, può essere utile ragionare su un famoso quesito chiamato Problema di Monty Hall: si supponga di partecipare ad un programma televisivo dove sono presenti tre porte, di cui una contenente una lussuosa auto sportiva e due contenenti una capra. Al concorrente viene chiesto di scegliere una porta e, in seguito alla decisione, il conduttore apre una delle due contenenti una capra. Rimangono quindi due porte, di cui una contenente una capra e una l’auto, delle quali una chiaramente è stata scelta dal concorrente. Il conduttore decide così di proporre di scambiare la porta scelta inizialmente con la porta rimasta e lo scopo del quesito è capire quale sarebbe la scelta più conveniente e perché.

Il problema di Monty Hall. Credit: Wikipedia Commons

Nonostante possa risultare controintuitivo, la soluzione consiste nel scegliere di accettare il cambio, in modo da migliorare le proprie possibilità di vittoria dal 33,3% iniziale al 66,6%. Accettando lo scambio, infatti, è come se si stesse scommettendo sul fatto che la scelta iniziale sia stata perdente (che succede in due casi su tre) e che tale scelta venga sostituita in seguito con quella vincente. Se la spiegazione non dovesse bastare, può essere utile pensare a tutti i casi possibili: supponendo che l’auto si nasconda dietro alla seconda porta, rifiutando lo scambio la probabilità di vincita rimarrebbe sempre di 1/3, mentre accettando può succedere che:

  • Caso a) il concorrente sceglie la porta 1, il conduttore apre la 3, viene accettato lo scambio e vinta la macchina
  • Caso b) il concorrente sceglie la porta 2, il conduttore apre la 3, viene accettato lo scambio e viene persa la macchina (il concorrente riceve la porta 1 contenente la capra)
  • Caso c) il concorrente sceglie la porta 3, il conduttore apre la 2, viene accettato lo scambio e viene vinta la macchina

In due casi su tre quindi, accettando lo scambio si riceve la porta sperata e si vince il premio.

Applicando lo stesso principio ad Affari tuoi quindi, la regola per aumentare la probabilità di concludere la gara vincendo una quantità elevata di denaro è decidere di scambiare il proprio pacco soltanto se il numero dei pacchi blu in gioco risulta inferiore a quello dei rossi, assicurandosi così la speranza massima di vittoria.

[di Roberto Demaio]

NOTIZIE DA MILANO E PROVINCIA

notizie in breve da il GIORNO

L’APPELLO

Coltellate tra ragazzine a Roè Volciano, la lettera della preside: “Violenza sconvolgente e oscena. Non perdiamo l’umanità”

Dopo il ferimento di una 15enne da parte di una 14enne mentre decine di coetanei le incitavano, Camilla Lavazza (Cfp Scar) scrive a cuore aperto a chi ha assistito senza intervenire: “Siete migliori di così”

IL DRAMMA

Valdidentro, geometra muore schiacciato da tre quintali di pannelli di legno

Tragico incidente sul lavoro in provincia di Sondrio: il 51enne dipendente della Blc Costruzioni edili di Carate Brianza è morto

IL CASO

Renato Vallanzasca, no del Tribunale alle comunità terapeutica. Di cosa soffre l’ex boss della Comasina

Per i giudici le sue condizioni fisiche e psichiche sono tali che quel posto non gli può garantire l’assistenza

Incidente sull’A1 a Piacenza: morti due ragazzi, c’è anche un ferito grave / Truccazzano, schianto tra auto e camion sulla Sp39dir: muore 61enne

Coinvolti un’auto e almeno due mezzi pesanti, in un tratto dove c’era una fitta nebbia. Le vittime sono due ragazzi, pesanti ripercussioni sul traffico

Robinho va in carcere: la giustizia brasiliana respinge il suo ricorso / Il penitenziario dei famosi: qui sconterà la sua pena

L’ex attaccante del Milan condannato per violenza sessuale su una 23enne conosciuta a Milano. La sentenza è diventata esecutiva

Primavera negli Orti Botanici della Lombardia: dove sono e quando visitarli / Giornate Fai il 23 e 24 marzo: tutti i luoghi aperti

Verde, fiori, frutti e profumi. Da Milano a Pavia, da Bergamo a Bormio tra piante esotiche e specie medicinali, ecco i sei giardini da vedere almeno una volta

Signora Meloni, ricordi che lei è il premier!

Questa donna, madre e cristiana non ha capito ancora che è la Presidente del Consiglio del paese e che quindi bisognerebbe avere un atteggiamento istituzionale.

Questa donna, madre e cristiana è convinta di essere ancora all’opposizione e di potersi permettere di comportarsi come tale.

Questa donna, madre e cristiana non ha capito che è lì per risolvere i problemi, non per rinfacciare quelli che non hanno risolto chi l’ha preceduta. Non è una scusa per coprire lo schifo che sta facendo da quando è al governo!

Questa donna, madre e cristiana è andata al governo promettendo mari e monti e mentre ci porta in guerra, si rende complice dei massacri in Palestina sostenendo Netanyahu e diventa la cameriera numero uno di Biden, fa le faccine come se stesse facendo uno sketch comico. No, non è un gioco e non c’è niente da ridere!

Ecco brava nasconditi, ma dalla vergogna però…

Salamone – Telegram

La pericolosa mossa francese

Macron

La Francia crea un’alleanza di paesi aperti allo stazionamento di truppe occidentali in Ucraina, ha annunciato il quotidiano Politico.

Il ministro degli Esteri francese Séjournet a tal proposito ha dichiarato:

“Non sarà la Russia a dirci come dovremmo aiutare gli ucraini nei prossimi mesi o anni. Non è lei che dovrebbe fissare le linee rosse. Lo decideremo tra di noi”.

Quindi amici, preparatevi alla guerra diretta tra l’Europa Occidentale e la Russia. La questione di qualche tempo e vedremo partire le truppe occidentali contro la Russia, come nel 1941, quando l’UE si chiamava “Terzo Reich”.

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L’intervista a Papa Bergoglio

Il pontefice rinnova il suo appello per la pace in Palestina e Ucraina – E riflette sul colore più difficile di tutti: il bianco

©ETTORE FERRARI

Quanto sta accadendo fra Israele e Palestina «è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra». Papa Francesco è ospite a Cliché, magazine culturale di Lorenzo Buccella in onda sulla Radiotelevisione svizzera (RSI), in una puntata – il 20 marzo – dedicata al bianco, colore del bene, della luce, ma sul quale errori e sporcizia risaltano maggiormente. Fra le tante sporcizie c’è la guerra, in Ucraina e in Palestina. Ecco cosa ha raccontato.

Quanto sta accadendo fra Israele e Palestina «è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra». Papa Francesco è ospite a Cliché, magazine culturale di Lorenzo Buccella in onda sulla Radiotelevisione svizzera (RSI), in una puntata – il 20 marzo – dedicata al bianco, colore del bene, della luce, ma sul quale errori e sporcizia risaltano maggiormente. Fra le tante sporcizie c’è la guerra, in Ucraina e in Palestina. Ecco cosa ha raccontato.

In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?
«È un’interpretazione. Ma credo che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore».

Anche lei stesso si è proposto per negoziare?
«Io sono qui, punto. Ho inviato una lettera agli ebrei di Israele, per riflettere su questa situazione. Il negoziato non è mai una resa. È il coraggio per non portare il Paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto….».

È il bianco del coraggio?
«Va bene, è il bianco del coraggio. Ma delle volte l’ira che ti porta al coraggio non è bianca…».

Torniamo al 2020, alla preghiera in piazza San Pietro durante la pandemia. Lei era una macchia bianca in mezzo alle tenebre.
«In quel momento si vedeva la macchia bianca, perché era notte, tutto era oscuro. È stata una cosa spontanea, fatta senza accorgermi che avrebbe avuto un grande significato, una cosa spontanea, sia la solitudine sia la preghiera».

In quel momento lei era concentrato su quello che voleva fare. Capiva anche, però, che il messaggio stava entrando in tutte le case, a tutte le persone che erano costrette a rimanere in casa?
«Non me ne sono accorto in quel momento. Ho pregato davanti alla Salus Populi Romani e davanti al crocifisso in legno che hanno portato da via del Corso. Pensavo a ciò che dovevo fare, ma non mi sono accorto della trascendenza che ha avuto quel momento. Anche io ero provato. Avevo quella sofferenza e avevo il dovere del mediatore, del prete, di pregare per il popolo che soffre. Ho pensato a un passaggio biblico, quando Davide pecca nel fare il censimento di Israele e di Giuda e il Signore distrugge 70.000 uomini con una pestilenza. Alla fine, quando l’angelo della peste sta per colpire Gerusalemme, il Signore si commuove e ferma l’angelo perché ha pietà del suo popolo. Sì, io con questa peste pensavo e pregavo: “Signore commuoviti e abbi pietà del popolo che soffre questa peste”. Questa è la mia esperienza in quel giorno».

Sentiva la solitudine di quella piazza che era anche una solitudine fisica?
«Sì, perché pioveva e non era facile».

Il bianco è il simbolo della purezza, dell’innocenza. L’abito bianco per eccellenza è il suo. Da dove nasce questa tradizione? E perché il Papa è vestito di bianco?
«È stato un papa domenicano. Aveva l’abito domenicano, che è bianco. E da lì tutti i papi hanno usato il bianco. È nata lì. Se non sbaglio era Pio V, che è sepolto in Santa Maria Maggiore. Da lì nasce la tradizione che i papi vestono di bianco».

“La Chiesa usa i paramenti bianchi, per esempio, nelle domeniche di Pasqua, di Natale. Il bianco ha un significato anche di gioia, di pace, di cose belle”

Qual è il valore principale che ha il bianco per la Chiesa?
«La Chiesa usa i paramenti bianchi, per esempio, nelle domeniche di Pasqua, di Natale. Il bianco ha un significato anche di gioia, di pace, di cose belle. Per esempio, nella messa dei defunti si usano i paramenti viola. È un significato di gioia e di pace, si usa nel tempo di Natale, nel tempo di Pasqua».

Per lei cosa ha significato indossare l’abito bianco quel 13 marzo del 2013, il giorno dell’elezione al soglio di Pietro?
«Non ci ho pensato, soltanto penso alle macchie, perché questo è terribile: il bianco attira le macchie».

L’aveva già detto: più il vestito è bianco più le macchie diventano visibili…
«È vero, è così».

Ma vale anche a livello simbolico, oltre alle macchie fisiche?
«Sì, tante volte le macchie si vedono bene. Per esempio: una persona che è in un posto di servizio. Pensa a un prete, a un vescovo, a un Papa. Le macchie lì si vedono meglio perché quell’uomo è un testimone di cose belle, di cose grandi. E sembra che non debba avere macchie. Il bianco ci apre anche a questa sfida del non avere macchie».

Ma si possono non avere macchie? Lei ha sempre detto che è un peccatore…
«Sì, siamo tutti peccatori. Se qualcuno dice che non lo è, sbaglia: tutti. È vero, un peccato sporca, sporca l’anima. E per simbologia possiamo dire che sporca anche il bianco. Quando penso al bianco penso ai bambini, al battesimo: tutti sono vestiti di bianco. Penso alla mia prima comunione, ho la fotografia della mia, in bianco. Il bianco ha un significato di purezza, di cose belle. Penso anche ai bambini, alle donne che si sposano. Il bianco è un colore forte, non è debole».

“C’è un tango argentino che rimprovera una donna che si sposa di bianco dopo aver vissuto una vita non buona. Il tango dice: «Quale scandalo, signora, vestirsi di bianco dopo che ha peccato». Cos’è la saggezza popolare…”

Sono tutti riti di passaggio: il bianco aiuta anche in questi passaggi?
«C’è un tango argentino che rimprovera una donna che si sposa di bianco dopo aver vissuto una vita non buona. Il tango dice: “Quale scandalo, signora, vestirsi di bianco dopo che ha peccato”. Cos’è la saggezza popolare… Il bianco significa un’anima pura, un’anima con buone intenzioni: pensa al battesimo, alla prima comunione. Sono simbologie che dicono tanto».

Quando è diventato Papa è cambiata la sua relazione col bianco?
«No, è la stessa. Ma non te ne accorgi: ti vesti di bianco, ma non te ne accorgi. Me ne accorgo quando vedo le macchie… È una cosa naturale».

È pesante la responsabilità che deve portare?
«Questo sì, ma non dobbiamo drammatizzare. Tutti abbiamo delle responsabilità nella vita. E il Papa ha una responsabilità più grande, un capo di Stato più grande, un prete, una suora sono responsabili di testimonianza. Per me, per esempio, è più la responsabilità della testimonianza che quella delle decisioni. Perché con le decisioni mi aiutano in tanti qui dentro, preparano, studiano, e mi danno qualche soluzione. Invece, nella vita quotidiana, non hai tanto aiuto. Le decisioni sono anche pesanti».

E lì è quasi più difficile per lei?
«Per me è più facile qui per tutto l’aiuto che ho. Se penso alla responsabilità è pesante. Ma il Papa ha tanti aiuti, tanta gente che l’aiuta».

Il Papa ha tanta gente che l’aiuta. Ma siccome è da solo, vestito in questo modo, come punto di riferimento può soffrire anche di solitudine. Può sentirsi solo in questa veste bianca?
«Ci sono momenti di grande solitudine quando devi prendere una decisione, per esempio. Ma questo non è solo del Papa. Nella vita clericale, anche i vescovi sentono questo, o i preti… Anche un padre di famiglia, tante volte: pensa a quando deve prendere decisioni sui figli. O quando un matrimonio non va: prendere la decisione di allontanarsi. Sono decisioni che pesano tanto. Tutti noi come persone abbiamo situazioni di solitudine davanti a delle decisioni da prendere. Anche sposarsi: quando uno è solo dice, questo è per tutta la vita. Sono decisioni che pesano e si può dire che queste decisioni portano nella solitudine. E la solitudine è bianca. Non è neanche buia né nera, ma è bianca. C’è una solitudine brutta che è quella dell’egoismo. Quello di tante persone che guardano solo a loro stesse. Non è una solitudine bianca, quella, ma brutta».

Ci sono le macchie individuali e poi ci sono le macchie collettive, le grandi macchie che sporcano come le guerre. E cosa si può fare?
«È un peccato collettivo questo. Mi diceva l’economo, un mese fa, mi dava il rendiconto di come stavano le cose in Vaticano – sempre in deficit -, mi diceva: lei sa dove oggi ci investimenti che danno più reddito? La fabbrica delle armi. Tu guadagni per uccidere. Più reddito: la fabbrica delle armi. Terribile la guerra. E non esiste una guerra bianca. La guerra è rossa o nera. Io questo lo dico sempre: quando sono stato nel 2014 al Redipuglia ho pianto. Poi lo stesso mi è successo ad Anzio, poi tutti i 2 novembre vado a celebrare in un cimitero. L’ultima volta sono andato al cimitero britannico e guardavo l’età dei ragazzi. Terribile. Questo l’ho detto già, ma lo ripeto: quando c’è stata la commemorazione dello sbarco in Normandia, tutti i capi di governo hanno celebrato quella data ma nessuno ha detto che su quella spiaggia sono rimasti ben 20’000 ragazzi».

“Ero in Slovacchia. La gente sentiva per la radio che il Papa passava e veniva per strada per vedermi. C’erano bambini, bambine, coppie giovani, e poi nonne. Mancavano i nonni: la guerra. È il risultato della guerra. Non ci sono nonni”

L’uomo ha la percezione netta di quello che le guerre comportano ma ci ricasca sempre. Penso anche a lei che con i suoi appelli… Come mai non si riesce a far passare il messaggio di quante vittime comporta la guerra?
«Due immagini. Una che a me sempre tocca e la dico: l’immagine della mamma quando riceve quella lettera: “Signora abbiamo l’onore di dirle che lei ha un figlio eroe e questa è la medaglia”. A me importa del figlio, non della medaglia. Le hanno tolto il figlio e le danno una medaglia. Si sentono prese in giro… E poi un’altra immagine. Ero in Slovacchia. Dovevo andare da una città a un’altra in elicottero. Ma c’era maltempo e non si poteva. Ho fatto il tragitto in macchina. Sono passato per diversi paesini. La gente sentiva per la radio che il Papa passava e veniva per strada per vedermi. C’erano bambini, bambine, coppie giovani, e poi nonne. Mancavano i nonni: la guerra. È il risultato della guerra. Non ci sono nonni».

Non c’è fotografia più forte di questa per far capire l’eredità che lascia la guerra.
«La guerra è una pazzia, è una pazzia».

La colomba è il simbolo della pace, è il segnale che la guerra è finita. Ma poi c’è il dopoguerra, che comunque è un altro momento in cui si devono ricucire tutte queste ferite…
«C’è un’immagine che a me viene sempre. In occasione di una commemorazione dovevo parlare della pace e liberare due colombe. La prima volta che l’ho fatto, subito un corvo presente in piazza San Pietro si è alzato, ha preso la colomba e l’ha portata via. È duro. E questo è un po’ quello che succede con la guerra. Tanta gente innocente non può crescere, tanti bambini non hanno futuro. Qui vengono spesso i bambini ucraini a salutarmi, vengono dalla guerra. Nessuno di loro sorride, non sanno sorridere. È un bambino che non sa sorridere sembra che non abbia futuro. Pensiamo a queste cose, per favore. La guerra sempre è una sconfitta, una sconfitta umana, non geografica».

Come le rispondono i potenti della terra quando chiede loro la pace?
«C’è chi dice, è vero ma dobbiamo difenderci… E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difenderci no, distruggere. Come finisce una guerra? Con morti, distruzioni, bambini senza genitori. Sempre c’è qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi».

La guerra è sempre associata all’oscurità, alle tenebre.
«Una guerra è tenebrosa, sempre, oscura. Il potere dell’oscuro. Quando si parla di bianco si parla di innocenza, di bontà e di tante cose belle. Ma quando si parla dell’oscuro, si parla del potere delle tenebre, di cose che non capiamo, di cose ingiuste. La Bibbia parla di questo. Le tenebre hanno un potere forte di distruggere. È un modo letterario di dirlo, ma quando una persona uccide – pensiamo a Caino, ad esempio -, è una persona tenebrosa. Quando una persona si occupa soltanto del proprio beneficio, ad esempio con gli operai, questa persona uccide moralmente altra gente. O penso a un padre di famiglia che non riesce a vedere i suoi figli addormentarsi la sera perché arriva tardi e di mattina esce presto per avere uno stipendio… questa persona è tenebrosa, è nera».

Ma tutti noi rischiamo di avere un po’ di tenebre dentro di noi…
«Siamo peccatori, e un po’ di tenebra l’abbiamo».

Anche un Papa.
«Anche un Papa. Tutti abbiamo un po’ la saggezza di conoscere cosa succede. E tante volte noi non capiamo cosa succede».

Può essere anche un lungo percorso.
«Tutta una vita, ma quando tu cerchi tutta una vita di sistemare bene, di correggere le cose, arriverai a una cosa molto bella che è la vecchiaia felice. Penso a quei vecchi, quelle vecchiette con gli occhi trasparenti, sono stati giusti, hanno lottato… Pensiamo un po’ alla vecchiaia. Possiamo dire la vecchiaia bianca, quella vecchiaia bella, trasparente».

Ma lei crede di viverle queste sensazioni adesso, per esempio la trasparenza, in questo momento?
«Cerco di non essere bugiardo, di non lavarmi le mani sui problemi altrui. Cerco, sono peccatore, e alle volte non riesco a fare così. Poi quando non riesco vado a confessarmi».

Quale rapporto ha un Papa con l’errore?
«È forte, perché quanto più una persona ha potere corre il pericolo di non capire le scivolate che fa. È importante avere un rapporto autocritico con i propri errori, con le proprie scivolate. Quando una persona si sente sicura di sé stesso perché ha potere, perché sa muoversi nel mondo del lavoro, delle finanze, ha la tentazione di dimenticarsi che un giorno starà mendicando, mendicando giovinezza, mendicando salute, mendicando vita… è un po’ la tentazione dell’onnipotenza. E questa onnipotenza non è bianca. Tutti dobbiamo essere maturi nei nostri rapporti con gli errori che facciamo, perché tutti siamo peccatori».

“C’è la persona verniciata, diciamo così, che sa nascondere le proprie debolezze e si presenta in modo artificiale. Quindi abbiamo questo problema di fare finta di…”

Abbiamo parlato spesso di come una cosa o l’altra dipende dallo spirito con cui la si fa. Il bianco solitamente si accompagna a delle cose belle, ma c’è anche il rischio di un bianco di facciata, della vernice che usiamo per nascondere l’ipocrisia. Ci può essere questo rischio?
«C’è la persona verniciata, diciamo così, che sa nascondere le proprie debolezze e si presenta in modo artificiale. Quindi abbiamo questo problema di fare finta di… E questa si chiama ipocrisia, le persone ipocrite… tutti abbiamo un pochettino di ipocrisia».

Anche la società stessa può essere ipocrita, ad esempio facendo le guerre e poi mandando aiuti umanitari…
«Interventi umanitari? Si alle volte sono umanitari, ma sono per coprire anche un senso di colpa. E non è facile».

Il bianco è anche un colore neutrale. Quando ci sono contrasti tra ideologie diverse, anche tra persone diverse, è un valore la neutralità per lei?
«Tanto. Alla base della nostra vita possiamo parlare della pagina in bianco. Non si dice la pagina nera, la pagina verde, la bandiera gialla… quando si parla di una pagina da scrivere è una carta bianca. E ognuno deve scrivere lì le proprie decisioni, sul bianco che è la vita. La vita è una carta in bianco e sarà bella se tu riesci a scrivere su quella carta una cosa bella, ma se tu scrive cose brutte non sarà bella quella pagina».

FONTE: Corriere del Ticino

L’allarme della lobby ebraica e la fine del secolo ebraico

March 8

di Cesare Sacchetti


Inizia tutto con un lungo editoriale intitolato “L’età d’oro degli ebrei americani sta finendo”firmato da Franklin Foer, giornalista americano di origini ebraiche.

Foer riporta dei crescenti episodi di “antisemitismo” nelle scuole che, a quanto pare, si sarebbero manifestati nella forma di forti critiche nei confronti del genocidio dello stato ebraico contro il popolo palestinese.

Il giornalista non considera l’antisemitismo sullo stesso piano dell’antisionismo ma individua in queste esternazioni comunque un “male” profondo che, a suo dire, affligge l’America.

Quello di un crescente rifiuto del mondo ebraico, o meglio di coloro che sono stati i massimi esponenti e rappresentanti di questa élite che ha avuto un ruolo predominante negli Stati Uniti e nel mondo intero nel secolo scorso.

Questo mondo ama molto la vittimizzazione di sè stesso. Quando qualcuno prova a denunciare, ad esempio, i crimini dello stato di Israele oppure quando prova a ricordare quanto c’è scritto nel testo “sacro” della moderna religione giudaica, il Talmud, viene immediatamente investito dell’accusa di essere un “antisemita”.

Non ha importanza che quanto detto dall’interlocutore possa essere vero oppure no. Ciò che ha importanza è la demolizione sistematica del messaggero che deve trovarsi addosso il marchio dell’infamia di essere un “antisemita” per aver detto delle pure verità su quello che riguarda Israele o più in generale il mondo ebraico.

Foer ora si scandalizza che stia maturando un sentimento contro lo stato di Israele e si stupisce che i giovani inizino a considerare con ostilità coloro che difendono Israele e la lobby sionista.

Non si sofferma ovviamente a guardare, come fanno gli altri intellettuali ebraici, le cause di questa ostilità.

Non si sofferma a guardare i corpi maciullati dei palestinesi che vengono bombardati persino quando vanno a prendere il panein un’azione che se fosse stata fatta da qualsiasi altro stato al mondo a quest’ora sarebbe stata condannata all’unanimità.

Nessuno può permettersi i crimini che commette Israele e nessuno può passare indenne alla condanna della comunità internazionale come ha potuto fare per più di 70 anni lo stato ebraico.

Questa interminabile serie di ingiustizie e crimini commessi contro un popolo, quello palestinese, si è potuta attuare soltanto perché dietro Israele esiste un potere tremendamente più “grande” e potente dello stato ebraico che travalica i confini israeliani per giungere a Londra, a New York e in tutte quelle centrali del potere della finanza askenazita.

E’ certamente vero che attualmente esiste una spaccatura, o meglio una divergenza di vedute tra l’anima del mondo ebraico più sionista e messianica e quella più progressista e liberale, ma ciò comunque non cambia il fatto che queste due anime sono unite per quello che riguarda la lotta a quello che loro chiamano “antisemitismo”.

Coloro che chiedono indipendenza e sovranità per le proprie nazioni sono “antisemiti”. Coloro che non vogliono finire invasi da un’orda di immigrati clandestini e sostituiti etnicamente dal “meticciato” così caro proprio ad alcuni intellettuali ebraici come Corrado Augias sono “antisemiti” e coloro che denunciano il massacro in atto contro il popolo palestinese.

Se il mondo non si conforma ai desideri e alle volontà di questa lobby, in ogni sua forma e pensiero, allora è il mondo ad essere “antisemita” e il male deve stare necessariamente non all’interno di questa élite ma al di fuori, in coloro che non vogliono abiurare la tradizione cristiana per erigere la società “razionale” dei diritti umani.

Alcuni intellettuali ebraici hanno avuto dei fremiti di onestà e hanno riconosciuto che se nel corso dei secoli le varie comunità ebraiche hanno avuto così tanta difficoltà a integrasi nei Paesi che li hanno accolti dopo la diaspora è perché esistono dei problemi all’interno di tali comunità e non al di fuori di esse.

Uno di questi Bernard Lazare nel suo saggio del 1894  intitolato “L’antisemitismo e le sue cause” si profondeva in questa lucida e alquanto realistica riflessione.

Se questa ostilità, persino avversione, fosse stata mostrata verso gli ebrei in un dato periodo e in un dato Paese, sarebbe facile individuare le cause limitate di questa rabbia, ma questa razza è stata al contrario l’oggetto di un odio di tutti i popoli tra i quali si è stabilita. Deve esserci quindi, dal momento che i nemici degli ebrei sono appartenuti alle razze più diverse, dal momento che hanno vissuto in Paesi molto distanti gli uni dagli altri, governati da opposti principi, dal momento che non avevano la stessa morale né gli stessi costumi, dal momento che erano animati da leggi diverse che non permettevano loro di giudicarli in nulla allo stesso modo, di conseguenza la causa generale dell’antisemitismo è sempre risieduta nella stessa Israele e non in coloro che hanno combattuto contro Israele.”

Se qualsiasi nazione, cristiana o meno, europea o araba, ha avuto delle difficoltà nei secoli passati con le comunità ebraiche ciò non può spiegarsi con una generale “ostilità” nei riguardi degli ebrei in quanto mondi completamente differenti gli uni dagli altri hanno avuto problemi con essi.

Gli ebrei per secoli sono stati un popolo errante e hanno spesso rifiutato di integrarsi con i Paesi, soprattutto cristiani, che li accoglievano.

Ciò si spiega con il sentimento suprematista che è presente nel Talmud, secondo il quale, coloro che non sono ebrei sono di natura inferiore e considerati al pari di bestiame, goy, nella lingua ebraica.

Non si può comprendere lo spirito che anima i leader di questo mondo se non si comprende in qualche modo la loro filosofia o “spiritualità”.

Questi si considerano il popolo eletto e non hanno alcun rispetto per la vita umana. Ciò però non vale per l’intera comunità ebraica.

A nostro avviso, nel corso della storia, si è dimostrato che le prime vittime di questa espressione suprematista dell’ebraismo sono stati gli ebrei stessi anche quando dopo molti secoli erano riusciti ad integrarsi nei Paesi europei che non avevano nessuna intenzione di lasciare per andare in Israele.

Lo si è visto ai tempi del nazismo quando la lobby sionista assistita da personaggi quali gli esponenti della famiglia Rothschild, i banchieri Kuhn, Loeb, Morgan e Warburg, firmavano un patto con il regime nazista per spingere forzatamente gli ebrei tedeschi fuori dalla Germania nazista e farli migrare negli aridi deserti della Palestina.

Il paradosso non raccontato dai libri di storia è che il nazismo fu il movimento politico che diede il contributo maggiore alla causa sionista per il semplice fatto che Hitler sin dal principio era stato aiutato caldamente da certi ambienti che lo avevano sostenuto e finanziato.

Quello che però costata con amarezza e rassegnazione è la fine del vecchio status quo che aveva dato ai signori di questa lobby un potere praticamente immenso.

Nessuno può negare che in Europa come negli Stati Uniti, gli esponenti del mondo ebraico hanno avuto un ruolo di primo piano nel modellare l’edificio della democrazia liberale.

La cultura liberale è stata sotto certi aspetti espressione di questo mondo. Le organizzazioni liberali americane che hanno promosso il culto dei diritti civili come la NAACP, l’associazione nazionale per l’avanzamento delle persone di colore e l’Anti-defamation League, sono state tutte presiedute da membri della comunità ebraica.

La democrazia liberale, con gli annessi diritti umani, è la dottrina politica che il mondo ebraico ha promosso per tutto il XX secolo.

Si è giunti persino al punto dopo il dopoguerra di istituire un’altra religione civile creata dal liberal-progressismo su ordine dei mandanti che controllano tale sistema politico, i signori della finanza askenazita, che altro non è che la religione olocaustica.

Non sono mai esistite nella storia dell’umanità delle leggi che imponevano agli uomini e alle donne di adeguarsi ad una visione della storia e ad un suo particolare racconto.

Quello che oggi viene definito dai liberali come il sistema politico migliore di sempre, la democrazia, è il sistema che manda in carcere coloro che non sono d’accordo con la narrazione della storiografia ufficiale sulla persecuzione degli ebrei nel secondo dopoguerra.

E tale sistema politico che ha varato una delle leggi più oppressive di sempre per ciò che riguarda lo studio e la ricerca storiografica è lo stesso che poi ipocritamente pretende di impartire lezioni sul culto dei diritti umani ad altre culture e Paesi che spesso non sono “colpevoli” tanto agli occhi del liberalismo di aver violato il tempio umanitarista, ma piuttosto sono responsabili di non aver svenduto il proprio Paesi agli interessi finanziari e geopolitici che governano l’Occidente.

Questo è stato il secolo XX, non un secolo breve come lo definì l’intellettuale comunista britannico di origini ebraiche, Hobsbawm, ma il secolo ebraico

Gli ebrei nel 900 si sono affermati nelle arti, nelle scienze e nella politica come mai avevano fatto prima. Interminabile la lista di uomini e donne di origine ebraica che hanno avuto un ruolo di rilievo nella vita pubblica, tra i quali ci sono Albert Einstein, membro anche dell’associazione Paneuropa del conte Kalergi, Robert Oppenheimer, Steven Spielberg, Hanna Arendt, Barbra Streisand, Woody Allen, Larry King soltanto per citarne alcuni in quella che altrimenti sarebbe una interminabile lista.

E’ stato il secolo questo nel quale più di tutti si è affermato lo spirito di questa comunità e dei suoi leader. E’ stato il secolo nel quale è nato lo stato di Israele e nel quale la finanza ebraica di New York e Londra ha accumulato un potere finanziario come mai lo aveva avuto in passato.

Il passaggio dal sistema feudale a quello borghese liberale ha trasferito un enorme potere in quelli che una volta erano chiamati usurai.

E la religione illuminista dei diritti umani è quella che ha rimodellato l’Europa antica cristiana trasformandola in una creatura più simile a quella che volevano i nascenti finanzieri e banchieri che si sono imposti sulla scena politica europea tra il XVII e il XVIII secolo.

Nel suo saggio, “I pionieri della rivoluzione russa” , l’intellettuale ebreo, Angelo Rappaport scriveva quanto segue.

“Molto prima che questi fossero formulati in francese, i principi dei Diritti dell’Uomo furono annunciati in ebraico.”

Rappaport esalta lo spirito rivoluzionario ebraico che è stato il padre, per così dire, del culto dei diritti umani che si è imposto dopo la rivoluzione francese e che ha cercato con ogni mezzo di sostituire la religione cristiana.

Questo è il passaggio che si è compiuto con il 1789 della Francia e questo è il sistema di “valori” che si è imposto sull’Europa.

Quello che preoccupa adesso questi signori è la fine del vecchio mondo liberale che essi avevano costruito.

L’America e il resto del mondo piuttosto che andare verso una ulteriore centralizzazione del potere verso le organizzazioni sovranazionali e i superstati voluti da Kalergi e Churchill si incammina nella direzione opposta.

L’internazionalismo muore, la globalizzazione si smantella, l’apparato militarista della NATO è sempre più in crisi e l’arma finanziaria di questo conglomerato, il dollaro, perde sempre più influenza.

I popoli riscoprono la voglia e la necessità di tornare alle loro origini e alle loro antiche tradizioni.

Muore di conseguenza il liberalismo che aveva la pretesa di sostituire le radici cristiane dell’Europa per assecondare il potere di questa lobby.

Questo è ciò che sconcerta di più personaggi quali Foer. Li sconcerta che sia finito il secolo XX. Li sconcerta che sia finito il secolo ebreo.

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