Da Mendrisio a Firenze per l’analisi dei modelli di Lorenzo Bartolini

Presso la Galleria dell’Accademia di Firenze è in corso un progetto di ricerca sui modelli in gesso dell’artista ottocentesco Lorenzo Bartolini. Un progetto che vede protagonista la SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana) di Mendrisio che ha sviluppato il processo diagnostico oggi utilizzato a Firenze.

Questo contenuto è stato pubblicato al27 luglio 2024 – 18:00

6 minuti

Marco Messina

La Galleria dell’Accademia di Firenze è uno dei luoghi più visitati del capoluogo toscano perché ospita una delle opere scultoree più celebri al mondo: il David di Michelangelo. Ma quel luogo è anche la sede della Gipsoteca Bartolini dove sono conservati i modelli in gesso delle opere di Lorenzo Bartolini, uno dei più grandi scultori italiani dell’Ottocento e considerato l’esponente più significativo del purismo italiano.

Nelle scorse settimane le opere contenute nella Gipsoteca sono state al centro di un lungo e meticoloso lavoro che ha visto protagonisti, oltre al museo fiorentino, la “Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato” e la SUPSI, la “Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana” di Mendrisio. Un lavoro che ha come scopo lo studio tecnico delle sculture in gesso del Bartolini.

Studiare i modelli in gesso per capire il processo creativo

“Il motivo per cui è nata questa collaborazione è che a Mendrisio stiamo svolgendo un progetto analogo sulle opere in gesso dello scultore svizzero Vincenzo Vela, finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero”, ha spiegato a tvsvizzera.it Alberto Felici che è il curatore del progetto fiorentino per SUPSI nonché docente-ricercatore in Conservazione e restauro presso la Scuola di Mendrisio.

Il progetto dell’analisi tecnica delle opere in gesso di Bartolini a Firenze, dunque, utilizza il know-how e l’approccio sviluppato in Svizzera. “L’obiettivo, in entrambi i casi, è quello di studiare come sono fatti questi modelli in gesso”, spiega ancora Felici.

Ma perché è importante effettuare l’analisi di questi modelli? “Un modello in gesso è un’opera che lo scultore realizzava per trasferire la forma dall’argilla al marmo. Si tratta di un passaggio tecnico che consentiva all’artista e ai suoi collaboratori di poter realizzare l’opera finita in marmo. Ma questo processo è frutto di un lavoro di equipe che vedeva protagonista tutta la bottega dell’artista. L’analisi dei modelli in gesso ci farà capire il processo di realizzane dell’opera”, spiega Felici.

Insomma, nel processo di creazione di un’opera d’arte, l’artista rappresentava una sorta di direttore d’orchestra che coordinava il lavoro dei suoi collaboratori per poi entrare in gioco direttamente in alcune fasi, quelle in cui apponeva il suo tocco. E dunque uno degli obiettivi dell’analisi è quello di comprendere quali sono le differenze nel passaggio dal gesso al marmo così da conoscere il grado di intervento dell’artista sia nella fase iniziale che quella finale sul marmo. Un altro obiettivo del lavoro di analisi dei modelli in gesso di Bertolini è capire come sono fatti con esattezza questi modelli che all’interno contengono armature in ferro, in legno o in canna e in generale altri materiali.

Il know-how innovativo sviluppato a Mendrisio

Questo tipo di approccio all’analisi delle opere in gesso di Bartolini nasce da un incontro durante un convegno su Vincenzo Vela tra lo stesso Alberto Felici e l’allora direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze Cecilie Hollberg. “Durante quel convegno – racconta il dottor Felici – nasce l’idea di realizzare uno studio parallelo qui a Firenze rispetto al progetto Vela di Mendrisio. Questo perché la SUPSI ha messo a punto questa metodologia di lavoro e l’approccio alla diagnostica che rendono possibile il raggiungimento di risultati tanto importanti”.

In altri termini, la tecnica diagnostica sviluppata a Mendrisio non è particolarmente innovativa o peculiare. “Ciò che trovo essere molto innovativo è l’approccio sviluppato alla SUPSI, il metodo con cui si procede allo studio di queste opere: partendo dalle conoscenze storico-archivistiche, mettendo insieme le osservazioni dirette sugli oggetti in gesso e passando poi alla diagnostica scientifica vera e propria si crea quell’insieme di informazioni che servono poi a raggiungere le conclusioni che sono lo scopo di queste ricerche”, conclude Felici.

Dalle radiografie ai modelli 3D

E dunque, in cosa consistono le analisi diagnostiche effettuate sulle opere di Bartolini? “Una delle tecniche utilizzate è quella della radiografia”, spiega a tvsvizzera.it Eleonora Pucci, Funzionaria Restauratrice del museo fiorentino. “Le radiografie sono state svolte in notturna e servono per vedere la composizione interna di queste opere e i materiali che esse contengono”. Insomma proprio come le radiografie che effettuiamo noi esseri umani.

FONTE