Molti di noi sono di Milano anche da generazioni, molti di noi amano la propria città in modo totale e ne accettano tutto pur di viverci. Altri di noi invece hanno sviluppato un senso critico nei confronti della Milano dei nostri giorni, delle scelte urbanistiche fatte e di quelle che probabilmente ci aspettano in futuro.
Noi siamo “gli altri di noi” quelli che amano la Milano degli anni 60-70, una città elegante, vivibile, molto attrezzata e ben funzionante. La nostra Milano, quella Milano, probabilmente non tornerà più, ma noi continuiamo a ricordare gli aperitivi da Zucca sotto la Galleria, gli autubus che si fermavano accanto al Duomo, i bellissimi negozi di via Dante, per non parlare poi di Via Manzoni, dell’Alemagna dove ti servivano in guanti bianchi e di quel centro dove si passeggiava vestiti a festa, ci si vestiva bene proprio per andare in centro.
Chi scrive ha lavorato per anni in Via Agnello, prendeva la P2 verde per raggiungere il Centro dal QT8, scendeva in Duomo e si faceva tutti i portici e magari una cappatina alla Rinascente prima di salire nell’ufficio di un consulente finanziario.
Mi sentivo importante, il primo lavoro in centro a Milano…. e di quel centro si imparava ad amare tutto, dai negozi ai monumenti, dalle bellissime chiese quasi sconosciute ai più, ai bar e alle taverne alla moda, non era nulla di particolare ma era un modo di vivere la città serenamente, senza chiasso, senza scritte sui muri, con rispetto.
Ho dovuto ritornare quasi ogni sera in Piazza Scala, quando, dopo essermi sposata e aver avuto i miei figli, ho intrapreso il lavoro di giornalista. Era il 1988 e io facevo la cronaca delle sedute del Consiglio Comunale per diversi giornali e per una radio.
La Galleria era già cambiata, si era installato Mac Donald e si capiva che le cose non serebbero più state come prima, da allora la città è scivolata in un lento ma inesorabile decadimento, il suo spirito è cambiato, i suoi valori sono diventati frivoli, insomma il lavoro non era più una sua priorità.
Poi sono arrivati i migranti e il permissivismo della politica. A loro tutto era ed è consentito: bivaccare in piazza Duomo sotto il monumento a Vittorio Emanuele, urinare ovunque, aggredire gli automobilisti per lavare i vetri delle auto, e ora, siccome anche il degrado evolve, fare i giocolieri ai semafori. Qualcuno parla di doverosa accoglienza, ma che accoglienza si da a gente che dorme e vive in strada e commette reati per mangiare?
Ora Milano è questa. Voi penserete sia una questione di età…. certo quando si invecchia si rimpiange il passato, ma non è proprio così per me, io sono aperta al cambiamento ma non alla cancellazione del passato, quel passato che ha fatto grande Milano e l’Italia.
E poi la mia città erano anche le sue fabbriche, l’Alfa, la Marelli, la Breda, la Richard Ginori e via dicendo, ora si vive di terziario e credetemi è un gran brutto vivere. Nessuno ha pensato di dare a Milano una doverosa memoria industriale, pensate che i giovani non conoscono nemmeno le industrie che in città hanno dato lavoro a centinaia di migliaia di lavoratori.
Le fabbriche sono state sostituite dai grattacieli, bellissimi, per carità, ma lo scontro urbanistico con l’esistente è stato devastante: torri altissime, dritte, storte e curve, incuneate a forza in un tessuto urbano ottocentesco, in quartieri, ad esempio quello di Piazzale Buonarroti, che è una meraviglia, con i suoi palazzi d’epoca pieni di fregi, con le piazze disegnate ad arte, belle insomma.
Tutte le volte che mi capita di vedere il vecchio e il nuovo che fanno a pugni, sto male fisicamente. L’unica cosa che mi tiene saldamente ancorata alla mia città è La Scala, amo il teatro, amo l’opera, amo la musica. Assistere ad un’opera la Scala non ha eguali, è il miglior teatro del mondo. E’ tanto, direte voi… certo è tanto, anzi tantissimo, ma per me che ho apprezzato negli anni lo spirito, il decoro e la laboriosità di Milano e ora mi ritrovo interi quartieri annientati e trasformati dall’immigrazione in veri e propri ghetti, è estremamente doloroso pensare a Milano come alla città in cui sono nata.
Manuela Valletti
La giornalista ha già detto tutto… Io aggiungo che il processo di trasformazione della città di Milano è identico a quello di molte altre città italiane. Faccio un accenno alla bella Bologna degli anni 70 …. ora trasformata in una fiera dei mercatini. Buon giorno Manuela
Ha ragione Giuseppe, lo stesso per molte altre città italiane, mentre all’estero convertono edifici magari sedi di fabbriche per realizzare altre cose, ma con un segno indelebile nel tempo. Questione di cultura e di amore per la propria città.
VERO