I colpi risalgono all’estate 2022. Il modus operandi era ormai rodato: l’irruzione sempre con casco in testa e pistola alla tempia dei presenti. Calci in faccia a chi provava ad opporsi
Pistola e caso in testa: arrestato il terrore dei supermercati del Milanese
Milano – In tre mesi, nell’estate del 2022, avrebbe compiuto “ben 13 rapine a mano armata” in diversi supermercati tra Milano e i comuni a nord della cintura: raggiungeva i luoghi a bordo di una moto o di un’auto, indossava sempre il casco per non essere riconoscibile e “puntava la pistola alla tempia delle persone presenti (persino di un anziano)”, per poi farsi consegnare l’incasso.
E “in due occasioni, non ha esitato a colpire con dei calci al volto degli addetti che avevano tentato di opporsi“. Per questi fatti lo scorso martedì è stata notificata un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a un italiano di 35 anni, emessa dal gip del Tribunale di Milano dopo le indagini della Polizia della Sezione di Polizia giudiziaria della Procura di Milano. Lo comunica con una nota la Procura.
Dall’inchiesta è emerso come in “alcuni casi da solo, in altri in compagnia di un complice, l’uomo abbia commesso, nel corso di appena tre mesi dell’estate del 2022, ben 13 rapine aggravate ai danni di piccoli e medi supermercati della zona nord-ovest di Milano (Novate Milanese, Cormano, Bollate, Milano-Comasina) e di Trecate, utilizzando sempre lo stesso modus operandi”. Usava una moto per arrivare, ma a volte anche un’auto, veicoli “risultati entrambi rubati”. All’identificazione dell’indagato i poliziotti sono arrivati “mediante analisi dei video ripresi dalle telecamere di sorveglianza, nonché tramite accertamenti tecnici biologici, dattiloscopici ed antropometrici”.
L’indagato, precisa la Procura, “è stato raggiunto dall’ordinanza di custodia cautelare in una Casa di reclusione”, dove era già detenuto “in esecuzione di una misura di sicurezza emessa per altri fatti”.
Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale; né sa quando una simile orma di piè mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà. Lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua, cadde, risorse e giacque, di mille voci al sonito mista la sua non ha: vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, sorge or commosso al subito sparir di tanto raggio; e scioglie all’urna un cantico che forse non morrà. Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppiò da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar. La procellosa e trepida gioia d’un gran disegno, l’ansia d’un cor che indocile serve pensando al regno; e il giunge, e tiene un premio ch’era follia sperar; tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull’altar. Ei si nomò: due secoli, l’un contro l’altro armato, sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato; ei fe’ silenzio, ed arbitro s’assise in mezzo a lor. E sparve, e i dì nell’ozio chiuse in sì breve sponda, segno d’immensa invidia e di pietà profonda, d’inestinguibil odio e d’indomato amor. Come sul capo al naufrago l’onda s’avvolve e pesa, l’onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa, scorrea la vista a scernere prode remote invan; tal su quell’alma il cumulo delle memorie scese! Oh quante volte ai posteri narrar sé stesso imprese, e sull’eterne pagine cadde la stanca man! Oh quante volte, al tacito morir d’un giorno inerte, chinati i rai fulminei, le braccia al sen conserte, stette, e dei dì che furono l’assalse il sovvenir! E ripensò le mobili tende, e i percossi valli, e il lampo de’ manipoli, e l’onda dei cavalli, e il concitato imperio, e il celere ubbidir. Ahi! Forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò; ma valida venne una man dal cielo e in più spirabil aere pietosa il trasportò; e l’avviò, pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, dov’è silenzio e tenebre la gloria che passò. Bella Immortal! benefica Fede ai trionfi avvezza! scrivi ancor questo, allegrati; ché più superba altezza al disonor del Golgota giammai non si chinò. Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola: il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò.
Che futuro può avere un popolo che fa tagli sulla Scuola e sulla Sanità ed è il popolo più tassato d’Europa ?
La spending review del governo Meloni avanza e la scuola si prepara a nuovi tagli. Dopo i 3,5 miliardi di euro di tagli previsti dal DEF 2022, il Ministero dell’Istruzione dovrà affrontare ulteriori riduzioni di bilancio nei prossimi anni.
Come segnala Il Messaggero, per il Ministero dell’Istruzione e del Merito, guidato da Giuseppe Valditara, si parla di 45,2 milioni di euro di tagli per il 2024 e 49,2 milioni per il 2025. Tra le aree interessate dai tagli – su cui il Ministero sta svolgendo una serie di valutazioni – potrebbero esserci i servizi per gli asili nido, con il passaggio di questo settore sotto l’ombrello del PNRR, ma anche l’ambito relativo a formazione e aggiornamento del personale scolastico, che potrebbero subire una riduzione di finanziamenti, pur con la cautela di non compromettere gli obiettivi del PNRR. (Fonte: Orizzonte Scuola
Roma 26 aprile 2024 – “Ha ragioneMacron nel dire che l’Europa come soggetto politico autonomo può morire. Può morire di consunzione, di immobilità a fronte delle minacce esiziali che vengono dalla Russia, dalla Cina, potenzialmente da una presidenza Trump, da chi vuole dividere gli europei e minare l’Unione. Per questo servono regole istituzionali diverse, perché per rispondere alle sfide in atto e a quelle che verranno a breve, occorre poter prendere delle decisioni e farlo rapidamente, e oggi troppo spesso l’Europa è paralizzata dal conflitto tra i Paesi membri”. Così il professor Eric Jones, politologo americano, direttore del Robert Schuman Centre for Advanced Studies all’European University Institute di Fiesole.
Professor Jones, è solo Macron a lanciare l’allarme oppure è convinzione comune che l’Europa, per dirla con Hemingway, senta “suonare la campana“?
“Sono appena tornato da Bruxelles e il mood lì è che stiamo vivendo una crisi esistenziale dell’Europa e che per fronteggiarla serva un vero, autentico scatto di reni. Ne ha parlato Macron, ma anche Enrico Letta nel suo recente rapporto e Mario Draghi, lo abbiamo visto in questi anni e lo vedremo presto nel suo rapporto sulla competitività dell’Unione, pensano la stessa cosa. Serve una riforma che vada oltre le cosiddette “clausole passarella“ previste dal trattato di Lisbona, che hanno introdotto sì una qualche flessibilità evitando la regola l’unanimità, ma solo se esiste una unanimità nell’attivare questo meccanismo. È ancora troppo poco”.
Ma ci sono le condizioni per arrivare a un progetto di riforma istituzionale dell’Europa?
“In prospettiva è possibile, solo in prospettiva. Ora bisognerà procedere con gradualità. Il primo passo sarebbe trovare l’accordo per creare eurobond per garantire a livello europeo una parte del debito pubblico e investire sulla Difesa europea, che darebbe sicurezza all’intero continente e richiede risorse continentali. Le riforme istituzionali, che ritengo siano inevitabili, avverranno in una seconda fase, se sapremo creare le condizioni giuste”.
Quella che viene dalla Russia è una minaccia fondamentale per l’Europa?
“Lo è sicuramente, e non solo a livello militare. Putin rema sistematicamente contro l’Europa, cerca ogni modo per disgregarla. E purtroppo è un fatto che che ci sono Stati come l’Ungheria che sostengono in buona parte l’agenda di Putin, e questo non è accettabile”.
Per resistere alle mire di Putin è meglio investire di più nella Difesa sotto l’ombrello Nato o serve anche un esercito Ue?
“Le due cose non vanno viste in contraddizione. L’ombrello Nato era e sarà fondamentale, vista la forza militare che possono garantire gli Stati Uniti. Sarebbe illusorio pensare di abbandonare la Nato. Ma avviare anche un esercito europeo sarebbe una risposta opportuna e necessaria per far fronte ai competitori strategici, in primis Russia e Cina. Non credo che gli Stati Uniti sarebbero contrari”.
A proposito: che succede se a novembre vince Biden, e, di contro, se viene eletto Trump?
“Se vince Trump, specie con una maggioranza al Congresso, potrà fare tutto quello che vuole e quello che lui vuole è il divide et impera : stringere accordi con singoli Paesi europei e disgregare l’Ue, mettendo gli europei uno contro l’altro. L’Europa si troverebbe così schiacciata tra una America che punta a disgregarla e due competitori strategici come la Russia di Putin e la Cina di Xi, che ne percepiscono la debolezza. Sarebbe una sfida terribile e non è uno scenario improbabile: può accadere davvero”.
Milano, 18 aprile 2024 – Movimenti sapienti delle mani, carezze all’impasto che sembra prendere vita nella sua forma finale. Come nasce un pizzocchero? Da un rituale moderno quanto antico, tramandato da quando esiste l’essere umano, frutto della felice e simbiotica crasi fra ingegno e tradizione. Sono oltre 300 le tipologie di pasta al momento esistenti, altre sono pronte per essere pensate, eseguite e poi codificate. Ed è proprio la pasta a essere al centro dell’appuntamento dedicato al rituale moderno organizzato dall’associazione culturale Deriva, sabato 20 aprile a Milano (Studio Moby, via Francesco Soave 23, 11-18.30).
«In una settimana che vede Milano capitale del design, grazie al Salone del Mobile, non potevamo esimerci dall’occuparci della pasta – spiega Eleonora Grassi, co-founder di Deriva – Farlo, infatti, significa cimentarsi in una delle più compiute dimostrazioni di design. Un design primordiale, una di quelle forme su cui nessuno può mettere una firma. Forme stratificate solo dalla conoscenza e dal tramandarsi paziente di una ritualità che, nella sua completezza, attraversa la storia».
Il programma della giornata Paola, Ornella, Sara, Jack, Clelia: saranno loro i veri designer del rituale moderno del fare la pasta. Non gelosi della loro conoscenza, sono pronti a condividerla con chiunque abbia voglia di rimboccarsi le maniche e affrontare il mistero antico del fare la pasta. Per partecipare ai workshop basta registrarsi gratuitamente su Eventbrite al link: rb.gy/pzl7ka. Designer di gnocchi saranno Paola Zuffi e Ornella Gumolli in due turni, dalle 11 alle 13. Di pizzoccheri si occuperà Sara Polatti (13-14.30), mentre Jack Torresi (Bistrò Latomare) metterà in mostra l’arte di fare i maccheroncini di Campo Filone. Concluderà la giornata Clelia Dessì (Ristorante da Giordano il Bolognese) con lo spazio dedicato agli gnocchetti sardi (16-17). Il programma è disponibile sul sito Eventbrite all’indirizzo: rb.gy/pzl7ka.
Partner della giornata sono: Agribirrificio La Morosina, Azienda agricola I Carpini, BiciBaleno, Compagnia del pesto genovese, Favini Flavia Rebellious Wines, Gerli 1870, Giampiero Aprile, LOsT TiME.
Deriva Deriva nasce come luogo di partenza verso mete sconosciute. Nasce dall’incontro fra due comunicatori (Lorenzo Belletti e Paolo Belletti) e un architetto (Eleonora Grassi), uniti dalla voglia di trovare le istruzioni per perdersi in un territorio in cui cominciare ad aprire vie, itinerari, incroci che traccino mappe non ancora disegnate. Un punto di incontro tra realtà e persone che interagiscono con l’intento di costruire esperienze nuove. Deriva esplora, indaga, ricerca. Attirata da spiragli e visioni, si immerge, ti interroga e riemerge con un nuovo orizzonte.
Lo aveva già detto Erdogan e lo avevano confermato vari diplomatici turchi, ma in Occidente si ascolta poco quello che dice la Turchia. Lo aveva detto Putin, ma Putin, si sa, è cattivo e mente per definizione. Lo aveva detto persino Davyd Arakhamia, che fu a capo della delegazione ucraina ai colloqui di pace con i russi in Bielorussia e Turchia nel 2022, ma la sua intervista dello scorso novembre, chissà perché, ricevette poca attenzione sui nostri media. Ora lo dice pure Foreign Affairs, l’influente rivista di relazioni internazionali del Council on Foreign Relations, think tank che ha annoverato dal 1921 ad oggi dozzine di Segretari di Stato, direttori della CIA, banchieri, avvocati, professori, esponenti dei media. In breve, una delle voci più importanti dell’establishment americano.
Dopo aver studiato attentamente le bozze di accordo tra Russia e Ucraina, Foreign Affairs è giunta a una conclusione sorprendente: all’inizio del conflitto, Mosca e Kiev sono state davvero vicine alla conclusione di un trattato di pace. Durante i negoziati, la Russia ha proposto la sua bozza di accordo, in cui ha chiesto con insistenza la neutralità dell’Ucraina. L’Ucraina voleva ricevere garanzie di sicurezza da altri Stati. Alla fine di marzo, quando i negoziatori si sono incontrati a Istanbul, sono riusciti a ottenere una svolta: le parti hanno annunciato di aver concordato un comunicato congiunto. Il trattato previsto avrebbe dichiarato l’Ucraina uno Stato permanentemente neutrale e non nucleare. L’Ucraina avrebbe abbandonato la sua intenzione di stringere alleanze militari o di consentire l’ingresso di basi militari o truppe straniere sul suo territorio. Allo stesso tempo, il percorso di Kiev verso l’adesione all’UE è rimasto aperto. I membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, così come Germania, Israele, Italia, Canada, Polonia e Turchia sono stati nominati come possibili garanti. Sebbene l’interesse dell’Ucraina a ricevere queste garanzie sia ovvio, non è del tutto chiaro il motivo per cui la Russia abbia accettato. Eppure, il comunicato suggerisce che questo è esattamente ciò che Putin era disposto ad accettare. Tuttavia, invece di accettare il comunicato di Istanbul e il successivo processo diplomatico, l’Occidente ha aumentato gli aiuti militari a Kiev e ha aumentato la pressione sulla Russia, anche attraverso sanzioni sempre più severe. Le potenze occidentali sono intervenute e hanno affossato l’accordo perché erano più interessate a indebolire la Russia che a porre fine alla guerra, ha detto il capo del Cremlino. I colloqui alla fine sono falliti, ma ci ricordano che Mosca e Kiev erano disposte a fare compromessi insoliti per porre fine alla guerra. Si è trattato di un tentativo ammirevolmente ambizioso, sottolinea la pubblicazione.
Come sapete da qualche mese è in atto una discussione tra OMS e tutte le Nazioni sul protocollo che la OMS stessa vorrebbe che venisse adottato universalmente in caso di pandemie, in pratica esautorando gli stati dei loro poteri.
Pubblichiamo a questo proposito un articolo de L’Indipendente, vi facciamo comunque sapere che siamo totalmente contrari all’adozione del protocollo OMS che limiterebbe le persone di diritti fondamentali e violerebbe le libertà personali . Ci auguriamo che il governo italiano sia fermo e contrario.
Manuela Valletti
“ Dopo quasi due settimane di discussioni su temi definiti «cruciali» riguardo a future minacce globali, gli stati membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno concluso la nona riunione e hanno concordato di riprendere i negoziati dal 29 aprile al 10 maggio, mese in cui potrebbe iniziare il processo per finalizzare ufficialmente il trattato internazionale sulle pandemie.Lo riporta il sito dell’Organizzazione, la quale ricorda che il documento prevede finanziamenti adeguati per «la preparazione alle minacce, accesso equo a contromisure mediche necessarie e rafforzamento del personale sanitario», aggiungendo che l’accordo è fondamentale «per proteggere le generazioni future dalle sofferenze sopportate durante la pandemia di Covid-19». Se il testo verrà confermato e rettificato anche dall’Italia, il Belpaese dovrà impegnarsi a rispettare articoli potenzialmente giuridicamente vincolanti e, stando all’ultima versione disponibile della bozza del documento, riconoscere il ruolo centrale dell’OMS nella coordinazione per «stabilire obiettivi di ricerca e priorità» e «sviluppare prodotti legati alla pandemia», anche in collaborazione con il settore privato.
Si è conclusa il 28 marzo la nona riunione dell’Organismo di negoziazione intergovernativa (INB9) dell’OMS, l’istituzione creata a dicembre 2021 per la «prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie» dall’Assemblea mondiale della sanità. La ripresa delle trattative è stata prevista per il mese prossimo – dal 29 aprile al 10 maggio – e, secondo il comunicato stampa dell’Organizzazione, «costituirà una pietra miliare in vista della settantasettesima Assemblea mondiale della sanità, che avrà inizio il 27 maggio 2024, durante la quale gli Stati membriesamineranno il testo proposto per l’adozione del primo accordo mondiale sulla pandemia». «I nostri Stati membri sono pienamente consapevoli di quanto sia importante l’accordo sulla pandemia per proteggere le generazioni future dalle sofferenze che abbiamo sopportato durante la pandemia di Covid-19. Li ringrazio per il loro chiaro impegno nel trovare un terreno comune e nel finalizzare questo storico accordo in tempo per l’Assemblea Mondiale della Sanità», ha dichiarato il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus, il quale meno di due mesi fa aveva avvisato che «la prossima pandemia sarà una questione di quando, non se», concludendo che la prossima minaccia globale potrebbe essere causata da un «virus influenzale, da un nuovo coronavirus, oppure potrebbe essere causata da un nuovo agente patogeno che ancora non conosciamo, quella che chiamiamo Malattia X». L’impegno è stato riconosciuto anche dal dottor Precious Matsoso, co-presidente dell’INB Bureau che ha dichiarato: «I governi riconoscono chiaramente che l’obiettivo di un accordo pandemico è preparare il mondo a prevenire e rispondere a future pandemie, basandosi sul consenso, sulla solidarietà e sull’equità. Questi obiettivi devono rimanere la nostra stella polare mentre ci muoviamo verso la finalizzazione di questo impegno storico e urgente per il mondo».
L’attuale bozza dell’accordo, che prevede i finanziamenti per la preparazione alle pandemie e promette impegno per accesso equo alle contromisure mediche necessarie e rafforzamento del personale sanitario,obbliga anche i firmatari a riconoscere il ruolo centrale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella coordinazione per «stabilire obiettivi di ricerca e priorità» e «sviluppare prodotti legati alla pandemia», anche in collaborazione con il settore privato. Tali prodotti, dovranno essere sviluppati anche grazie agli investimenti pubblici e privati e anche attraverso l’impegno nell’incoraggiare «le organizzazioni internazionali ad effettuare investimenti» ed a «stabilire contratti a lungo termine» con i produttori. Il tutto mentre ciascuna parte si impegna a rafforzare e potenziare il sistema sanitario con la possibilità di adottare politiche, piani e strategie di sorveglianza attiva per combattere la minaccia e provare a contenerla. Il rischio, quindi, è quello di delegare il «ruolo centrale» nella coordinazione ad un’organizzazione internazionale che – come spiegato in un altro articolo de L’Indipendente – è finanziata principalmente da donazioni volontarie di organizzazioni private come la Bill and Melinda Gates Foundation e GAVI Alliance.
Si attendono ora solo le risposte del governo che già da mesi sembra spaccato a metà tra chi respinge il trattato e chi promette comunque di «portare avanti gli interessi dell’Italia»: così aveva risposto il ministro della Salute Orazio Schillaciall’interrogazione sul tema presentata dal senatore Claudio Borghi, che aveva chiesto risposte riguardo al rischio di cessione di sovranità e di conflitti d’interesse. Per quanto riguarda Fratelli d’Italia invece – che però in questi mesi ha presentato un piano pandemico simile a quello dell’ex ministro Roberto Speranza – attualmente l’ultimo commento sul tema risale al 29 marzo, quando il partito ha detto «no al Green Pass globale» e promettendo giustizia per le vittime di reazioni avverse al vaccino, senza comunque parlare direttamente del trattato dell’OMS.”
Dopo il ferimento di una 15enne da parte di una 14enne mentre decine di coetanei le incitavano, Camilla Lavazza (Cfp Scar) scrive a cuore aperto a chi ha assistito senza intervenire: “Siete migliori di così”
Coinvolti un’auto e almeno due mezzi pesanti, in un tratto dove c’era una fitta nebbia. Le vittime sono due ragazzi, pesanti ripercussioni sul traffico
Verde, fiori, frutti e profumi. Da Milano a Pavia, da Bergamo a Bormio tra piante esotiche e specie medicinali, ecco i sei giardini da vedere almeno una volta
Quanto sta accadendo fra Israele e Palestina «è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra». Papa Francesco è ospite a Cliché, magazine culturale di Lorenzo Buccella in onda sulla Radiotelevisione svizzera (RSI), in una puntata – il 20 marzo – dedicata al bianco, colore del bene, della luce, ma sul quale errori e sporcizia risaltano maggiormente. Fra le tante sporcizie c’è la guerra, in Ucraina e in Palestina. Ecco cosa ha raccontato.
Quanto sta accadendo fra Israele e Palestina «è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra». Papa Francesco è ospite a Cliché, magazine culturale di Lorenzo Buccella in onda sulla Radiotelevisione svizzera (RSI), in una puntata – il 20 marzo – dedicata al bianco, colore del bene, della luce, ma sul quale errori e sporcizia risaltano maggiormente. Fra le tante sporcizie c’è la guerra, in Ucraina e in Palestina. Ecco cosa ha raccontato.
In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa? «È un’interpretazione. Ma credo che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore».
Anche lei stesso si è proposto per negoziare? «Io sono qui, punto. Ho inviato una lettera agli ebrei di Israele, per riflettere su questa situazione. Il negoziato non è mai una resa. È il coraggio per non portare il Paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto….».
È il bianco del coraggio? «Va bene, è il bianco del coraggio. Ma delle volte l’ira che ti porta al coraggio non è bianca…».
Torniamo al 2020, alla preghiera in piazza San Pietro durante la pandemia. Lei era una macchia bianca in mezzo alle tenebre. «In quel momento si vedeva la macchia bianca, perché era notte, tutto era oscuro. È stata una cosa spontanea, fatta senza accorgermi che avrebbe avuto un grande significato, una cosa spontanea, sia la solitudine sia la preghiera».
In quel momento lei era concentrato su quello che voleva fare. Capiva anche, però, che il messaggio stava entrando in tutte le case, a tutte le persone che erano costrette a rimanere in casa? «Non me ne sono accorto in quel momento. Ho pregato davanti alla Salus Populi Romani e davanti al crocifisso in legno che hanno portato da via del Corso. Pensavo a ciò che dovevo fare, ma non mi sono accorto della trascendenza che ha avuto quel momento. Anche io ero provato. Avevo quella sofferenza e avevo il dovere del mediatore, del prete, di pregare per il popolo che soffre. Ho pensato a un passaggio biblico, quando Davide pecca nel fare il censimento di Israele e di Giuda e il Signore distrugge 70.000 uomini con una pestilenza. Alla fine, quando l’angelo della peste sta per colpire Gerusalemme, il Signore si commuove e ferma l’angelo perché ha pietà del suo popolo. Sì, io con questa peste pensavo e pregavo: “Signore commuoviti e abbi pietà del popolo che soffre questa peste”. Questa è la mia esperienza in quel giorno».
Sentiva la solitudine di quella piazza che era anche una solitudine fisica? «Sì, perché pioveva e non era facile».
Il bianco è il simbolo della purezza, dell’innocenza. L’abito bianco per eccellenza è il suo. Da dove nasce questa tradizione? E perché il Papa è vestito di bianco? «È stato un papa domenicano. Aveva l’abito domenicano, che è bianco. E da lì tutti i papi hanno usato il bianco. È nata lì. Se non sbaglio era Pio V, che è sepolto in Santa Maria Maggiore. Da lì nasce la tradizione che i papi vestono di bianco».
“La Chiesa usa i paramenti bianchi, per esempio, nelle domeniche di Pasqua, di Natale. Il bianco ha un significato anche di gioia, di pace, di cose belle”
Qual è il valore principale che ha il bianco per la Chiesa? «La Chiesa usa i paramenti bianchi, per esempio, nelle domeniche di Pasqua, di Natale. Il bianco ha un significato anche di gioia, di pace, di cose belle. Per esempio, nella messa dei defunti si usano i paramenti viola. È un significato di gioia e di pace, si usa nel tempo di Natale, nel tempo di Pasqua».
Per lei cosa ha significato indossare l’abito bianco quel 13 marzo del 2013, il giorno dell’elezione al soglio di Pietro? «Non ci ho pensato, soltanto penso alle macchie, perché questo è terribile: il bianco attira le macchie».
L’aveva già detto: più il vestito è bianco più le macchie diventano visibili… «È vero, è così».
Ma vale anche a livello simbolico, oltre alle macchie fisiche? «Sì, tante volte le macchie si vedono bene. Per esempio: una persona che è in un posto di servizio. Pensa a un prete, a un vescovo, a un Papa. Le macchie lì si vedono meglio perché quell’uomo è un testimone di cose belle, di cose grandi. E sembra che non debba avere macchie. Il bianco ci apre anche a questa sfida del non avere macchie».
Ma si possono non avere macchie? Lei ha sempre detto che è un peccatore… «Sì, siamo tutti peccatori. Se qualcuno dice che non lo è, sbaglia: tutti. È vero, un peccato sporca, sporca l’anima. E per simbologia possiamo dire che sporca anche il bianco. Quando penso al bianco penso ai bambini, al battesimo: tutti sono vestiti di bianco. Penso alla mia prima comunione, ho la fotografia della mia, in bianco. Il bianco ha un significato di purezza, di cose belle. Penso anche ai bambini, alle donne che si sposano. Il bianco è un colore forte, non è debole».
“C’è un tango argentino che rimprovera una donna che si sposa di bianco dopo aver vissuto una vita non buona. Il tango dice: «Quale scandalo, signora, vestirsi di bianco dopo che ha peccato». Cos’è la saggezza popolare…”
Sono tutti riti di passaggio: il bianco aiuta anche in questi passaggi? «C’è un tango argentino che rimprovera una donna che si sposa di bianco dopo aver vissuto una vita non buona. Il tango dice: “Quale scandalo, signora, vestirsi di bianco dopo che ha peccato”. Cos’è la saggezza popolare… Il bianco significa un’anima pura, un’anima con buone intenzioni: pensa al battesimo, alla prima comunione. Sono simbologie che dicono tanto».
Quando è diventato Papa è cambiata la sua relazione col bianco? «No, è la stessa. Ma non te ne accorgi: ti vesti di bianco, ma non te ne accorgi. Me ne accorgo quando vedo le macchie… È una cosa naturale».
È pesante la responsabilità che deve portare? «Questo sì, ma non dobbiamo drammatizzare. Tutti abbiamo delle responsabilità nella vita. E il Papa ha una responsabilità più grande, un capo di Stato più grande, un prete, una suora sono responsabili di testimonianza. Per me, per esempio, è più la responsabilità della testimonianza che quella delle decisioni. Perché con le decisioni mi aiutano in tanti qui dentro, preparano, studiano, e mi danno qualche soluzione. Invece, nella vita quotidiana, non hai tanto aiuto. Le decisioni sono anche pesanti».
E lì è quasi più difficile per lei? «Per me è più facile qui per tutto l’aiuto che ho. Se penso alla responsabilità è pesante. Ma il Papa ha tanti aiuti, tanta gente che l’aiuta».
Il Papa ha tanta gente che l’aiuta. Ma siccome è da solo, vestito in questo modo, come punto di riferimento può soffrire anche di solitudine. Può sentirsi solo in questa veste bianca? «Ci sono momenti di grande solitudine quando devi prendere una decisione, per esempio. Ma questo non è solo del Papa. Nella vita clericale, anche i vescovi sentono questo, o i preti… Anche un padre di famiglia, tante volte: pensa a quando deve prendere decisioni sui figli. O quando un matrimonio non va: prendere la decisione di allontanarsi. Sono decisioni che pesano tanto. Tutti noi come persone abbiamo situazioni di solitudine davanti a delle decisioni da prendere. Anche sposarsi: quando uno è solo dice, questo è per tutta la vita. Sono decisioni che pesano e si può dire che queste decisioni portano nella solitudine. E la solitudine è bianca. Non è neanche buia né nera, ma è bianca. C’è una solitudine brutta che è quella dell’egoismo. Quello di tante persone che guardano solo a loro stesse. Non è una solitudine bianca, quella, ma brutta».
Ci sono le macchie individuali e poi ci sono le macchie collettive, le grandi macchie che sporcano come le guerre. E cosa si può fare? «È un peccato collettivo questo. Mi diceva l’economo, un mese fa, mi dava il rendiconto di come stavano le cose in Vaticano – sempre in deficit -, mi diceva: lei sa dove oggi ci investimenti che danno più reddito? La fabbrica delle armi. Tu guadagni per uccidere. Più reddito: la fabbrica delle armi. Terribile la guerra. E non esiste una guerra bianca. La guerra è rossa o nera. Io questo lo dico sempre: quando sono stato nel 2014 al Redipuglia ho pianto. Poi lo stesso mi è successo ad Anzio, poi tutti i 2 novembre vado a celebrare in un cimitero. L’ultima volta sono andato al cimitero britannico e guardavo l’età dei ragazzi. Terribile. Questo l’ho detto già, ma lo ripeto: quando c’è stata la commemorazione dello sbarco in Normandia, tutti i capi di governo hanno celebrato quella data ma nessuno ha detto che su quella spiaggia sono rimasti ben 20’000 ragazzi».
“Ero in Slovacchia. La gente sentiva per la radio che il Papa passava e veniva per strada per vedermi. C’erano bambini, bambine, coppie giovani, e poi nonne. Mancavano i nonni: la guerra. È il risultato della guerra. Non ci sono nonni”
L’uomo ha la percezione netta di quello che le guerre comportano ma ci ricasca sempre. Penso anche a lei che con i suoi appelli… Come mai non si riesce a far passare il messaggio di quante vittime comporta la guerra? «Due immagini. Una che a me sempre tocca e la dico: l’immagine della mamma quando riceve quella lettera: “Signora abbiamo l’onore di dirle che lei ha un figlio eroe e questa è la medaglia”. A me importa del figlio, non della medaglia. Le hanno tolto il figlio e le danno una medaglia. Si sentono prese in giro… E poi un’altra immagine. Ero in Slovacchia. Dovevo andare da una città a un’altra in elicottero. Ma c’era maltempo e non si poteva. Ho fatto il tragitto in macchina. Sono passato per diversi paesini. La gente sentiva per la radio che il Papa passava e veniva per strada per vedermi. C’erano bambini, bambine, coppie giovani, e poi nonne. Mancavano i nonni: la guerra. È il risultato della guerra. Non ci sono nonni».
Non c’è fotografia più forte di questa per far capire l’eredità che lascia la guerra. «La guerra è una pazzia, è una pazzia».
La colomba è il simbolo della pace, è il segnale che la guerra è finita. Ma poi c’è il dopoguerra, che comunque è un altro momento in cui si devono ricucire tutte queste ferite… «C’è un’immagine che a me viene sempre. In occasione di una commemorazione dovevo parlare della pace e liberare due colombe. La prima volta che l’ho fatto, subito un corvo presente in piazza San Pietro si è alzato, ha preso la colomba e l’ha portata via. È duro. E questo è un po’ quello che succede con la guerra. Tanta gente innocente non può crescere, tanti bambini non hanno futuro. Qui vengono spesso i bambini ucraini a salutarmi, vengono dalla guerra. Nessuno di loro sorride, non sanno sorridere. È un bambino che non sa sorridere sembra che non abbia futuro. Pensiamo a queste cose, per favore. La guerra sempre è una sconfitta, una sconfitta umana, non geografica».
Come le rispondono i potenti della terra quando chiede loro la pace? «C’è chi dice, è vero ma dobbiamo difenderci… E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difenderci no, distruggere. Come finisce una guerra? Con morti, distruzioni, bambini senza genitori. Sempre c’è qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi».
La guerra è sempre associata all’oscurità, alle tenebre. «Una guerra è tenebrosa, sempre, oscura. Il potere dell’oscuro. Quando si parla di bianco si parla di innocenza, di bontà e di tante cose belle. Ma quando si parla dell’oscuro, si parla del potere delle tenebre, di cose che non capiamo, di cose ingiuste. La Bibbia parla di questo. Le tenebre hanno un potere forte di distruggere. È un modo letterario di dirlo, ma quando una persona uccide – pensiamo a Caino, ad esempio -, è una persona tenebrosa. Quando una persona si occupa soltanto del proprio beneficio, ad esempio con gli operai, questa persona uccide moralmente altra gente. O penso a un padre di famiglia che non riesce a vedere i suoi figli addormentarsi la sera perché arriva tardi e di mattina esce presto per avere uno stipendio… questa persona è tenebrosa, è nera».
Ma tutti noi rischiamo di avere un po’ di tenebre dentro di noi… «Siamo peccatori, e un po’ di tenebra l’abbiamo».
Anche un Papa. «Anche un Papa. Tutti abbiamo un po’ la saggezza di conoscere cosa succede. E tante volte noi non capiamo cosa succede».
Può essere anche un lungo percorso. «Tutta una vita, ma quando tu cerchi tutta una vita di sistemare bene, di correggere le cose, arriverai a una cosa molto bella che è la vecchiaia felice. Penso a quei vecchi, quelle vecchiette con gli occhi trasparenti, sono stati giusti, hanno lottato… Pensiamo un po’ alla vecchiaia. Possiamo dire la vecchiaia bianca, quella vecchiaia bella, trasparente».
Ma lei crede di viverle queste sensazioni adesso, per esempio la trasparenza, in questo momento? «Cerco di non essere bugiardo, di non lavarmi le mani sui problemi altrui. Cerco, sono peccatore, e alle volte non riesco a fare così. Poi quando non riesco vado a confessarmi».
Quale rapporto ha un Papa con l’errore? «È forte, perché quanto più una persona ha potere corre il pericolo di non capire le scivolate che fa. È importante avere un rapporto autocritico con i propri errori, con le proprie scivolate. Quando una persona si sente sicura di sé stesso perché ha potere, perché sa muoversi nel mondo del lavoro, delle finanze, ha la tentazione di dimenticarsi che un giorno starà mendicando, mendicando giovinezza, mendicando salute, mendicando vita… è un po’ la tentazione dell’onnipotenza. E questa onnipotenza non è bianca. Tutti dobbiamo essere maturi nei nostri rapporti con gli errori che facciamo, perché tutti siamo peccatori».
“C’è la persona verniciata, diciamo così, che sa nascondere le proprie debolezze e si presenta in modo artificiale. Quindi abbiamo questo problema di fare finta di…”
Abbiamo parlato spesso di come una cosa o l’altra dipende dallo spirito con cui la si fa. Il bianco solitamente si accompagna a delle cose belle, ma c’è anche il rischio di un bianco di facciata, della vernice che usiamo per nascondere l’ipocrisia. Ci può essere questo rischio? «C’è la persona verniciata, diciamo così, che sa nascondere le proprie debolezze e si presenta in modo artificiale. Quindi abbiamo questo problema di fare finta di… E questa si chiama ipocrisia, le persone ipocrite… tutti abbiamo un pochettino di ipocrisia».
Anche la società stessa può essere ipocrita, ad esempio facendo le guerre e poi mandando aiuti umanitari… «Interventi umanitari? Si alle volte sono umanitari, ma sono per coprire anche un senso di colpa. E non è facile».
Il bianco è anche un colore neutrale. Quando ci sono contrasti tra ideologie diverse, anche tra persone diverse, è un valore la neutralità per lei? «Tanto. Alla base della nostra vita possiamo parlare della pagina in bianco. Non si dice la pagina nera, la pagina verde, la bandiera gialla… quando si parla di una pagina da scrivere è una carta bianca. E ognuno deve scrivere lì le proprie decisioni, sul bianco che è la vita. La vita è una carta in bianco e sarà bella se tu riesci a scrivere su quella carta una cosa bella, ma se tu scrive cose brutte non sarà bella quella pagina».
Foer riporta dei crescenti episodi di “antisemitismo” nelle scuole che, a quanto pare, si sarebbero manifestati nella forma di forti critiche nei confronti del genocidio dello stato ebraico contro il popolo palestinese.
Il giornalista non considera l’antisemitismo sullo stesso piano dell’antisionismo ma individua in queste esternazioni comunque un “male” profondo che, a suo dire, affligge l’America.
Quello di un crescente rifiuto del mondo ebraico, o meglio di coloro che sono stati i massimi esponenti e rappresentanti di questa élite che ha avuto un ruolo predominante negli Stati Uniti e nel mondo intero nel secolo scorso.
Questo mondo ama molto la vittimizzazione di sè stesso. Quando qualcuno prova a denunciare, ad esempio, i crimini dello stato di Israele oppure quando prova a ricordare quanto c’è scritto nel testo “sacro” della moderna religione giudaica, il Talmud, viene immediatamente investito dell’accusa di essere un “antisemita”.
Non ha importanza che quanto detto dall’interlocutore possa essere vero oppure no. Ciò che ha importanza è la demolizione sistematica del messaggero che deve trovarsi addosso il marchio dell’infamia di essere un “antisemita” per aver detto delle pure verità su quello che riguarda Israele o più in generale il mondo ebraico.
Foer ora si scandalizza che stia maturando un sentimento contro lo stato di Israele e si stupisce che i giovani inizino a considerare con ostilità coloro che difendono Israele e la lobby sionista.
Non si sofferma ovviamente a guardare, come fanno gli altri intellettuali ebraici, le cause di questa ostilità.
Non si sofferma a guardare i corpi maciullati dei palestinesi che vengono bombardati persino quando vanno a prendere il panein un’azione che se fosse stata fatta da qualsiasi altro stato al mondo a quest’ora sarebbe stata condannata all’unanimità.
Nessuno può permettersi i crimini che commette Israele e nessuno può passare indenne alla condanna della comunità internazionale come ha potuto fare per più di 70 anni lo stato ebraico.
Questa interminabile serie di ingiustizie e crimini commessi contro un popolo, quello palestinese, si è potuta attuare soltanto perché dietro Israele esiste un potere tremendamente più “grande” e potente dello stato ebraico che travalica i confini israeliani per giungere a Londra, a New York e in tutte quelle centrali del potere della finanza askenazita.
Coloro che chiedono indipendenza e sovranità per le proprie nazioni sono “antisemiti”. Coloro che non vogliono finire invasi da un’orda di immigrati clandestini e sostituiti etnicamente dal “meticciato” così caro proprio ad alcuni intellettuali ebraici come Corrado Augias sono “antisemiti” e coloro che denunciano il massacro in atto contro il popolo palestinese.
Se il mondo non si conforma ai desideri e alle volontà di questa lobby, in ogni sua forma e pensiero, allora è il mondo ad essere “antisemita” e il male deve stare necessariamente non all’interno di questa élite ma al di fuori, in coloro che non vogliono abiurare la tradizione cristiana per erigere la società “razionale” dei diritti umani.
Alcuni intellettuali ebraici hanno avuto dei fremiti di onestà e hanno riconosciuto che se nel corso dei secoli le varie comunità ebraiche hanno avuto così tanta difficoltà a integrasi nei Paesi che li hanno accolti dopo la diaspora è perché esistono dei problemi all’interno di tali comunità e non al di fuori di esse.
Uno di questi Bernard Lazare nel suo saggio del 1894 intitolato “L’antisemitismo e le sue cause” si profondeva in questa lucida e alquanto realistica riflessione.
Se questa ostilità, persino avversione, fosse stata mostrata verso gli ebrei in un dato periodo e in un dato Paese, sarebbe facile individuare le cause limitate di questa rabbia, ma questa razza è stata al contrario l’oggetto di un odio di tutti i popoli tra i quali si è stabilita. Deve esserci quindi, dal momento che i nemici degli ebrei sono appartenuti alle razze più diverse, dal momento che hanno vissuto in Paesi molto distanti gli uni dagli altri, governati da opposti principi, dal momento che non avevano la stessa morale né gli stessi costumi, dal momento che erano animati da leggi diverse che non permettevano loro di giudicarli in nulla allo stesso modo, di conseguenza la causa generale dell’antisemitismo è sempre risieduta nella stessa Israele e non in coloro che hanno combattuto contro Israele.”
Se qualsiasi nazione, cristiana o meno, europea o araba, ha avuto delle difficoltà nei secoli passati con le comunità ebraiche ciò non può spiegarsi con una generale “ostilità” nei riguardi degli ebrei in quanto mondi completamente differenti gli uni dagli altri hanno avuto problemi con essi.
Gli ebrei per secoli sono stati un popolo errante e hanno spesso rifiutato di integrarsi con i Paesi, soprattutto cristiani, che li accoglievano.
Ciò si spiega con il sentimento suprematista che è presente nel Talmud, secondo il quale, coloro che non sono ebrei sono di natura inferiore e considerati al pari di bestiame, goy, nella lingua ebraica.
Non si può comprendere lo spirito che anima i leader di questo mondo se non si comprende in qualche modo la loro filosofia o “spiritualità”.
Questi si considerano il popolo eletto e non hanno alcun rispetto per la vita umana. Ciò però non vale per l’intera comunità ebraica.
A nostro avviso, nel corso della storia, si è dimostrato che le prime vittime di questa espressione suprematista dell’ebraismo sono stati gli ebrei stessi anche quando dopo molti secoli erano riusciti ad integrarsi nei Paesi europei che non avevano nessuna intenzione di lasciare per andare in Israele.
Lo si è visto ai tempi del nazismo quando la lobby sionista assistita da personaggi quali gli esponenti della famiglia Rothschild, i banchieri Kuhn, Loeb, Morgan e Warburg, firmavano un patto con il regime nazista per spingere forzatamente gli ebrei tedeschi fuori dalla Germania nazista e farli migrare negli aridi deserti della Palestina.
Il paradosso non raccontato dai libri di storia è che il nazismo fu il movimento politico che diede il contributo maggiore alla causa sionista per il semplice fatto che Hitler sin dal principio era stato aiutato caldamente da certi ambienti che lo avevano sostenuto e finanziato.
Quello che però costata con amarezza e rassegnazione è la fine del vecchio status quo che aveva dato ai signori di questa lobby un potere praticamente immenso.
Nessuno può negare che in Europa come negli Stati Uniti, gli esponenti del mondo ebraico hanno avuto un ruolo di primo piano nel modellare l’edificio della democrazia liberale.
La cultura liberale è stata sotto certi aspetti espressione di questo mondo. Le organizzazioni liberali americane che hanno promosso il culto dei diritti civili come la NAACP, l’associazione nazionale per l’avanzamento delle persone di colore e l’Anti-defamation League, sono state tutte presiedute da membri della comunità ebraica.
La democrazia liberale, con gli annessi diritti umani, è la dottrina politica che il mondo ebraico ha promosso per tutto il XX secolo.
Si è giunti persino al punto dopo il dopoguerra di istituire un’altra religione civile creata dal liberal-progressismo su ordine dei mandanti che controllano tale sistema politico, i signori della finanza askenazita, che altro non è che la religione olocaustica.
Non sono mai esistite nella storia dell’umanità delle leggi che imponevano agli uomini e alle donne di adeguarsi ad una visione della storia e ad un suo particolare racconto.
Quello che oggi viene definito dai liberali come il sistema politico migliore di sempre, la democrazia, è il sistema che manda in carcere coloro che non sono d’accordo con la narrazione della storiografia ufficiale sulla persecuzione degli ebrei nel secondo dopoguerra.
E tale sistema politico che ha varato una delle leggi più oppressive di sempre per ciò che riguarda lo studio e la ricerca storiografica è lo stesso che poi ipocritamente pretende di impartire lezioni sul culto dei diritti umani ad altre culture e Paesi che spesso non sono “colpevoli” tanto agli occhi del liberalismo di aver violato il tempio umanitarista, ma piuttosto sono responsabili di non aver svenduto il proprio Paesi agli interessi finanziari e geopolitici che governano l’Occidente.
Questo è stato il secolo XX, non un secolo breve come lo definì l’intellettuale comunista britannico di origini ebraiche, Hobsbawm, ma il secolo ebraico
Gli ebrei nel 900 si sono affermati nelle arti, nelle scienze e nella politica come mai avevano fatto prima. Interminabile la lista di uomini e donne di origine ebraica che hanno avuto un ruolo di rilievo nella vita pubblica, tra i quali ci sono Albert Einstein, membro anche dell’associazione Paneuropa del conte Kalergi, Robert Oppenheimer, Steven Spielberg, Hanna Arendt, Barbra Streisand, Woody Allen, Larry King soltanto per citarne alcuni in quella che altrimenti sarebbe una interminabile lista.
E’ stato il secolo questo nel quale più di tutti si è affermato lo spirito di questa comunità e dei suoi leader. E’ stato il secolo nel quale è nato lo stato di Israele e nel quale la finanza ebraica di New York e Londra ha accumulato un potere finanziario come mai lo aveva avuto in passato.
Il passaggio dal sistema feudale a quello borghese liberale ha trasferito un enorme potere in quelli che una volta erano chiamati usurai.
E la religione illuminista dei diritti umani è quella che ha rimodellato l’Europa antica cristiana trasformandola in una creatura più simile a quella che volevano i nascenti finanzieri e banchieri che si sono imposti sulla scena politica europea tra il XVII e il XVIII secolo.
Nel suo saggio, “I pionieri della rivoluzione russa” , l’intellettuale ebreo, Angelo Rappaport scriveva quanto segue.
“Molto prima che questi fossero formulati in francese, i principi dei Diritti dell’Uomo furono annunciati in ebraico.”
Rappaport esalta lo spirito rivoluzionario ebraico che è stato il padre, per così dire, del culto dei diritti umani che si è imposto dopo la rivoluzione francese e che ha cercato con ogni mezzo di sostituire la religione cristiana.
Questo è il passaggio che si è compiuto con il 1789 della Francia e questo è il sistema di “valori” che si è imposto sull’Europa.
Quello che preoccupa adesso questi signori è la fine del vecchio mondo liberale che essi avevano costruito.
L’America e il resto del mondo piuttosto che andare verso una ulteriore centralizzazione del potere verso le organizzazioni sovranazionali e i superstati voluti da Kalergi e Churchill si incammina nella direzione opposta.
L’internazionalismo muore, la globalizzazione si smantella, l’apparato militarista della NATO è sempre più in crisi e l’arma finanziaria di questo conglomerato, il dollaro, perde sempre più influenza.
I popoli riscoprono la voglia e la necessità di tornare alle loro origini e alle loro antiche tradizioni.
Muore di conseguenza il liberalismo che aveva la pretesa di sostituire le radici cristiane dell’Europa per assecondare il potere di questa lobby.
Questo è ciò che sconcerta di più personaggi quali Foer. Li sconcerta che sia finito il secolo XX. Li sconcerta che sia finito il secolo ebreo.