Anche Milano si illumina per la Diwali 2024, la festività induista che celebra la vittoria della luce interiore sull’oscurità, promuovendo i valori di pace e fratellanza tra i popoli.
Il Teatro San Babila (Corso Venezia, 2/A, Milano) ospiterà il 14 novembre un programma unico e suggestivo, all’interno del circuito di eventi – promossi dall’Unione Induista Italiana – che stanno attraversando diverse città italiane, offrendo ai partecipanti un viaggio alla scoperta di una cultura millenaria tra danza, musica, meditazione e colori, intrecciando le antiche tradizioni spirituali indiane con l’innovazione culturale e tecnologica che pervade il mondo contemporaneo.
Il programma
Il programma prende il via alle ore 18.30 nella Sala Teatro con la Cerimonia Inaugurale e l’accensione della lampada, simbolo della luce che vince le tenebre, aprendo le celebrazioni in un’atmosfera di raccoglimento e spiritualità.
Alle ore 19.00, la serata prosegue con lo spettacolo di danza Kuchipudi “Triveni”, presentato dalla Nishrinkala Dance Academy, che vede la partecipazione straordinaria di tre danzatori: Sai Venkata Gangadhar e Lakshmi Vempadappa, al loro debutto in Italia, e Atmananda Talavidya. L’opera, ispirata alla confluenza dei tre fiumi sacri dell’India – Gange, Yamunā e Sarasvatī – trasporta il pubblico in un’esperienza di purificazione spirituale e bellezza attraverso movimenti che fondono tradizione e ispirazione divina.
Alle 21.30 sarà la volta dello spettacolo di danza Bharatanatyam “अतः Atah”, eseguito dalla rinomata Punyah Dance Company, con gli artisti Parshwanath Upadhye e Adithya PV. Questo lavoro unico esplora le connessioni tra passato e presente attraverso la sacralità del Bharatanatyam, arricchito dalle musiche di Shri RaghuRamRang.
La serata si concluderà alle 22.15 con il vivace spettacolo di Bollywood “Rang-Raas” che vedrà in scena l’Aayana Dance Company. Un’esplosione di colori e ritmo che richiama il mito di Krishna e Radha, unendo elementi tradizionali e moderni in una celebrazione delle vivaci sfumature della cultura indiana.
Non mancheranno i momenti dedicati alla spiritualità: dalle 13:00 alle 14:00 nel foyer del teatro, i partecipanti potranno prendere parte a una sessione di yoga guidata.
Inoltre, il pubblico presente sarà omaggiato con prodotti solidali offerti da Aimac (Associazione Italiana Malati di Cancro), Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro e Il Ponte del Sorriso Onlus, organizzazioni impegnate nella lotta al cancro e nel supporto ai bambini ospedalizzati e alle loro famiglie.
Le celebrazioni dell’Unione Induista Italiana per la Diwali 2024 sono sostenute in parte dai fondi 8xmille, grazie ai quali l’UII realizza progetti che traducono i principi etici di rispetto e cura verso il prossimo in concrete azioni di solidarietà e sostegno.
Restano nella leggenda le sue discese da lunghe scalinate rigorosamente in abiti di paillettes, piume e tacchi vertiginosi. Nel 1994 moriva a Milano Wanda Osiris, icona della stagione cinematografica degli anni Trenta
A Bruxelles e a Washington sono ore di grande sconcerto e paura. Si stanno già diffondendo le prime indiscrezioni di fughe di personaggi di primissimo piano del mondo dello stato profondo americano.
Soltanto negli ultimi giorni sono stati due nomi di primissimo piano a lasciare i loro rispettivi incarichi, quello di Kevin Thurm, direttore della nota Clinton Foundation, nella quale sono affluiti anche i soldi dei finanziatori dell’ISIS, su tutti Qatar e Arabia Saudita, e Stephane Bancel, direttore commerciale di Moderna, una delle famigerate case farmaceutiche che ha distribuito il vaccino Covid.
I più nervosi sembrano essere proprio loro. I signori del cartello farmaceutico che ieri avrebbero avuto una riunione di emergenza per discutere il da farsi dopo la schiacciante vittoria di Donald Trump.
Si susseguono chiamate agitate, voci al telefono dalla quali trasuda puro panico perché non sono in pochi a temere una serie di cause giudiziarie a valanga per i danni che il cartello farmaceutico ha provocato a milioni di persone con la distribuzione dei vaccini, che non sono nemmeno vaccini nel senso classico del termine, ma dei composti sintetici a base di grafene e nanobot che non avevano e non hanno altro scopo che quello di provocare malattie e morti improvvise ai danni di chi lo ha ricevuto.
Addirittura lo stesso Obama viene dato in fuga prossima dagli Stati Uniti, presumibilmente per scappare dalle maglie della giustizia, probabilmente più militare che civile, che vuole chiedergli conto dello spionaggio illegale eseguito ai danni di Donald Trump con l’assistenza di varie agenzie investigative americane, quali l’FBI, e con il sostegno del governo Renzi e dei servizi segreti italiani.
A Bruxelles sono probabilmente ancora più agitati poiché il secondo, o terzo, mandato di Trump è quello che può chiudere definitivamente il cerchio, quello che può recidere definitivamente il cordone ombelicale che c’è stato tra Stati Uniti ed Europa negli ultimi 80 anni e che ha costituito quello che gli analisti liberali amano chiamare “ordine Euro-Atlantico”.
Gli Stati Uniti: da garanti dell’atlantismo a loro rivale
Non c’è stata infatti una vera e propria politica estera dei Paesi europei negli ultimi 80 anni, ma una decisa in ampia parte dai vari circoli del potere che sono stati gli arbitri a loro volta del corso politico di Washington.
I loro nomi sono noti. Sono i soliti sospetti, per così dire, dell’universo globalista e sionista composta da istituti quali il Bilderberg, l’Aspen, il Council on Foreign Relations, il Bohemian Grove, l’AIPAC, Chabad Lubavitch e la Commissione Trilaterale, nei quali c’è sempre presente il finanziamento delle famiglie Rockefeller, Rothschild, Warburg e delle “grandi” banche della finanza ebraica quali Goldman Sachs e JP Morgan.
Gli Stati Uniti hanno vissuto una condizione di commissariamento della loro sovranità a tale apparato e gil uomini che in passato hanno provato a recidere i fili che legavano l’America ai signori del mondialismo, sono stati uccisi, come John Kennedy e suo fratello Robert uccisi in quanto minacce intollerabili per la nazione prediletta del Nuovo Ordine Mondiale, ovvero lo stato di Israele.
Trump è riuscito a compiere l’impresa che non era riuscita ai suoi predecessori, e ciò è stato possibile soltanto grazie ad una difesa e protezione costante delle forze armate americane che in più di una occasione gli hanno salvato la vita da molteplici attentati.
Adesso, da quest’altra parte dell’Atlantico, sono in molti a chiedersi quale sarà il destino della parte europea dell’atlantismo senza il supporto degli Stati Uniti, le cui forze armate da sole non sono altro che la forza militare stessa della NATO.
Trump lo disse in termini alquanto espliciti. La NATO è soltanto una tigre di carta senza gli Stati Uniti e coloro che a Bruxelles vagheggiano di “esercito europeo” prendono soltanto in giro sé stessi.
L’Unione europea non è in grado di costituire una forza militare pari a quella degli Stati Uniti, poiché è priva della necessaria industria bellica e soprattutto perché non c’è affatto una intenzione di voler fondere le proprie forze armate per costituire una forza armata europea.
Tale passaggio sarebbe possibile soltanto se si desse vita ad un superstato europeo, gli Stati Uniti d’Europa, il “sogno” del conte Kalergi che voleva costruire una falsa Europa senza europei e senza radici cristiane pur di compiacere, parole sue, il mondo ebraico che così generosamente lo finanziava negli anni’20 e ’30 del secolo scorso.
L’Europa, per parafrasare un non compianto personaggio politico, è soltanto una espressione geopolitica.
Bruxelles è nota, o famigerata, per essere soltanto la sede di un elefantiaco apparato composto da burocrati e commissari sconosciuti ai vari cittadini europei, che non li eleggono, e che rispondono soltanto alle varie lobby che finanziano la Commissione e il Parlamento europeo.
L’UE, come applicazione pratica, altro non è stata che una diretta emanazione della volontà degli Stati Uniti e dei centri di potere che avevano in mano l’America.
La storia è scritta su carta, ed è ufficiale.
Sul finire degli anni’40, l’amministrazione Truman aveva già stabilito che era necessario far affluire fondi alla nascente architettura dell’Europa comunitaria, i cui primi mattoni sono stati posti con la comunità del carbone e dell’acciaio e successivamente con il trattato di Roma del 1957.
Al Comitato americano per una Europa Unita presieduto da William Donovan, a capo dell’allora OSS, l’antenato della CIA, fu assegnato il compito specifico di far affluire i fondi necessari a quella che sarebbe stata l’odierna Unione europea, che nasce ufficialmente nel 1992 a Maastricht, ma la cui preparazione è stata elaborata per quasi tutto il’900, sia dal conte Kalergi che concepì la sua visione cosmopolita e multiculturale dove gli europei venivano a poco a poco sostituiti dai nuovi “europei”, gli immigrati afro-asiatici, sia dai vari comitati allestiti dagli Stati Uniti che hanno accompagnato passo dopo passo la nascita dell’UE
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William Donovan
Washington voleva una Europa unita attraverso l’UE perché serviva, nell’ottica della costruzione di una governance europea e globale, liquidare gli Stati nazionali e sostituirli appunto con questi conglomerati sovranazionali, i quali a loro volta, rispondevano non certo ai popoli europei ma ai soliti signori dei think tank globalisti e alle solite famiglie dell’alta finanza ebraica che volevano mettere fine alle sovranità nazionali.
E’ la storia del Nuovo Ordine Mondiale che ha marciato incessantemente per larga parte del’900 e per i primi anni del secolo in corso, fino a quando il macchinario che voleva fagocitare ogni singola nazione è stato smantellato dalla opposizione della Russia di Putin e quella successiva degli Stati Uniti di Trump, non più parte integrante del mondialismo, ma suo principale avversario assieme a Mosca.
L’Euro-Atlantismo, evidentemente, non può reggersi soltanto sulla gamba europea in quanto questa non ha la forza né la struttura per proseguire nel cammino precedente senza la protezione della sponda americana dell’Atlantico.
La paura dei vertici mondialisti europei
Stavolta i vari burocrati europei sembrano ancora più preoccupati di quello che già non fossero ai tempi del primo mandato di Trump.
Ad esprimere tale preoccupazione è stato, tra gli altri, Leslie Vinjamuri, membro della Chatam House, che è l’omologo inglese del CFR americano e uno di quegli istituti che sono da considerarsi a tutti gli effetti come la sovrastruttura che ha avuto in mano le sorti delle democrazie liberali Occidentali.
La Chatam House, in particolare, negli ambienti britannici è divenuta persino più importante della Tavola Rotonda, la cosiddetta Round Table, un’altra sovrastruttura governativa, e il ramo inglese della famiglia Rothschild ha iniziato già ad assegnare verso l’inizio del secolo scorso più importanza alla prima rispetto alla seconda per quello che riguarda la direzione degli affari esteri della nazione.
Il fine di questo istituto è stato espresso chiaramente da uno dei suoi membri, lo storico Arnold Joseph Toynbee, che nel 1931, a Copenaghen, si espresse così a tal proposito.
“Stiamo attualmente lavorando con tutti coloro che possono far dimenticare agli stati nazionali del mondo dimenticare quel misterioso potere chiamato “sovranità”. E neghiamo costantemente quello che facciano.”
Toynbee non era altro che uno di quegli accademici che si sono messi al servizio di questa idea, e che hanno dichiarato guerra alle sovranità nazionali, attraverso un fiume di libri e pubblicazioni tutte volte a raffigurare lo Stato nazionale come un ingombrante retaggio del passato “superato” invece delle sovrastrutture transnazionali che hanno concentrato il potere nelle loro mani, fino ad allargare sempre più a dismisura la forbice tra le elite finanziarie e i popoli.
Stesso potere e stesso fine rappresenta quindi il citato Vinjamuri, che però ha detto qualcosa di molto interessante su questo ritorno ufficiale di Trump e che lascia capire come i poteri che gestiscono questi istituti si attendono il peggio.
Il direttore della Chatam House ha infatti detto che “un secondo mandato di Trump sarebbe differente, in quanto il presidente sa perfettamente chi lo ha ingannato sul piano internazionale e domestico e ha studiato un piano con il suo gruppo per tagliare le gambe a questi personaggi”.
Si può essere d’accordo, ma con una qualche precisazione. Trump e i suoi consiglieri non si sono improvvisati.
Non sono stati realmente giocati, ma in diverse occasioni hanno soltanto dato l’apparenza di esserlo come accaduto nel 2020, quando ci fu la frode elettorale e quando a Bruxelles e a Washington si illudevano di aver risolto i propri problemi per poi ritrovarsi con un Biden che non eseguiva le direttive e che copriva di ridicolo tutti i circoli del mondialismo con le sue innumerevoli gaffe.
La fase attuale è quella della chiusura del cerchio, ovvero quella nella quale si arriva alla conclusione di un piano ben studiato almeno dal 2015, e che adesso, su questo Vinjamuri ha ragione, consentirà a Trump di dare il colpo di grazia agli ultimi nemici del sovranismo americano, su tutti l’UE e la NATO.
L’Euro-Atlantismo, appare evidente, non può farcela. E’ impossibile che l’UE, nata su impulso di Washington, riesca a sopravvivere ad una Washington che decide di esercitare tutto il suo potere contro la stessa UE.
Bruxelles non solo non può sopravvivere geopoliticamente e militarmente, ma nemmeno commercialmente perché se si apre un nuovo capitolo della guerra commerciale iniziata nel 2016, Trump può assestare la spallata definitiva all’Unione e accelerare il suo processo di disgregazione.
Non sono infatti gli Stati Uniti ad aver bisogno dell’UE, ma viceversa. Gli Stati Uniti sono il primo mercato di sbocco dell’Europa per un volume commerciale che ammonta a circa 527 miliardi di dollari.
Le esportazioni americane invece sono dirette principalmente a tre Paesi, quali Canada, Messico e Cina, per un valore complessivo di più di 750 miliardi di dollari.
La guerra commerciale, se ci sarà, è persa in partenza da Bruxelles. L’isteria dei quotidiani europei a questo riguardo si vede anche su uno dei quotidiani dell’universo progressista francese, Le Monde, che più che un articolo scrive un epitaffio dell’ordine liberale della seconda guerra mondiale, rammaricandosi che gli Stati Uniti ormai non hanno più messo a disposizione la loro superpotenza al servizio della fine delle sovranità nazionali, come auspicava Toynbee, ma invece sono diventati l’incubo di tutti quei potenti che avevano assegnato a Washington lo scettro del Nuovo Ordine Mondiale.
Anche Il Guardian britannico fa eco al quotidiano francese quando parla di “disastro per l’Europa” per il ritorno di Trump e invita Londra e Bruxelles ad una sorta di ultima resistenza che sembra quasi evocare la caduta del regime nazista rinchiuso nel suo bunker alla fine della seconda guerra mondiale.
I primi pezzi di questo fragile edificio sono già cominciati a cadere. Ieri sono giunte le dimissioni del ministro delle Finanze tedesco, Lindner, in disaccordo sulla manovra economica con il cancelliere Scholz che vorrebbe continuare a inviare fondi ai nazisti ucraini, mentre l’ex ministro voleva invece mettere al primo posto le esigenze delle economie tedesche.
La Germania da locomotiva d’Europa grazie all’euro è diventata oggi la sua zavorra, e sta sprofondando in una pesante crisi economica e in una violenza deindustrializzazione.
La Germania sta andando a rotoli, e se quello che era, assieme alla Francia, il perno dell’UE crolla così rapidamente quali speranze ha di sopravvivere l’Unione se si pensa che adesso a questo scenario si è aggiunto il ritorno ufficiale di Trump e delle sue politiche sovraniste ostili a qualsiasi proposito di cessione di sovranità a strutture sovranazionali.
Non sorprende quindi che L’UE abbia paura.
Ha paura perché sa che si stanno verificando quella serie di contingenze politiche interne e internazionali che possono spazzare definitivamente via il carrozzone burocratico.
Sono ore di angoscia a Bruxelles, e sono ore vitali per i popoli europei che presto potrebbero tornare finalmente ad essere i padroni delle proprie nazioni.
Perde il clan Clinton/Obama. Perde l’estremismo del politically correct e la follia woke. Perde il razzismo al contrario e la cancel culture. Perdono le guerre per procura in tutto il mondo. Perdono i radical chic. Perde l’immigrazionismo selvaggio. Perde la dittatura sanitaria. Perde la NATO. Perde la UE e Ursula von der Leyen. Perde Zelensky e gli ucronazisti. Perde il Pd nostrano e il Pd meloniano.
L’impero americano ha raggiunto l’apice “e stiamo scendendo… anche se cerchiamo di resistere”, afferma Richard Wolff, professore emerito di economia presso l’Università del Massachusetts Amherst, che nota che la coalizione di economie BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sta rimontando sugli Stati Uniti. Wolff dice al conduttore Steve Clemons che è “un’esperienza molto difficile per gli americani” rendersi conto di aver perso le guerre in Vietnam, Afghanistan e Iraq. E nonostante il sostegno incondizionato degli Stati Uniti, Israele non sarà in grado di prevalere nel lungo periodo. “Israele è un Paese di pochi milioni di persone e non potrà controllare e gestire l’intero Medio Oriente… con o senza gli Stati Uniti”, sostiene Wolff.
Quindi alla domanda se i BRICS sono una sfida reale per gli Stati Uniti o solo una illusione, il noto economista dice che “no, non si tratta affatto di un’illusione, sono già una realtà”.
Grazie alle migliaia di persone che oggi hanno partecipato al corteo organizzato dal Coordinamento per la Pace – Milano insieme alla comunità palestinese tutta per dire:
FUORI L’ITALIA DALLA GUERRA!
NON UN UOMO, NON UN SOLDO, NON UN’ARMA PER LA GUERRA!
Il vertice di Kazan segna un punto di svolta nella situazione geopolitica attuale: la Russia, lungi dall’essere isolata dalla cosiddetta ‘comunità internazionale’ , ha dimostrato al mondo di aver assunto il ruolo di guida, di un movimento globale di affrancamento dall’ imperialismo militar-finanziario anglosassone.
Per convincere i partner che i tempi erano maturi e che fosse finalmente possibile uscire dalla gabbia finanziaria che costituisce il vero braccio armato dell’Impero (essendo l’architrave dello strumento delle sanzioni), serviva una cavia. La Russia si è di fatto immolata per mostrare al mondo che le sanzioni sono un’arma spuntata, superata, che non uccide l’economia del paese bersaglio.
Da quel momento in poi è partito il ‘tana libera tutti’ e il mondo è cambiato.
Pur essendo ancora in essere alcune situazioni in bilico, vedi il caso della Moldavia e quello della Georgia, il ruolo di egemone degli USA è seriamente minacciato e il declino dell’ordine unipolare è probabilmente irreversibile.
Ne parliamo nel talk Dietro il Sipario, condotto da Giorgio Bianchi, con Marc Bernardini in collegamento da Mosca e con Francesco Dall’Aglio.
È trascorso ormai oltre un anno da quando Israele ha lanciato la propria risposta agli attacchi della resistenza palestinese del 7 ottobre, dando il via al genocidio della popolazione tutt’ora in corso. I massacri si susseguono senza sosta: l’ultimo è avvenuto poche ore fa, quando le forze dell’esercito israeliano hanno raso al suolo un intero isolato residenziale nel nord della Striscia di Gaza, uccidendo almeno 87 persone. Numeri ormai normalizzati nella narrazione mediatica quotidiana dell’aggressione, ma spaventosi nella loro portata.
Dopo un anno di assedio, a Gaza manca tutto: medicinali, acqua, cibo, vestiti. A complicare ulteriormente la vita delle persone intrappolate in questa striscia di terra e sottoposte a bombardamenti quotidiani sono anche i continui spostamenti imposti dall’esercito israeliano. «Ogni volta che gli israeliani vogliono conquistare terreno, lanciano i volantini dove ci dicono che abbiamo 4 ore per spostarci» ci ha raccontato Sami, residente a Gaza. E mentre gli occhi del mondo sono puntati sull’enclave palestinese, Israele ne ha approfittato per accelerare l’occupazione violenta della Cisgiordania.
A partire da settembre, la guerra si è allargata anche al fronte libanese e minaccia di estendersi anche verso l’Iran. Un’operazione di tale rilievo non potrebbe essere portata a termine impunemente e con un tale successo se Tel Aviv non godesse di alleati preziosi nella comunità internazionale. Uno su tutti: gli Stati Uniti, con i quali condivide obiettivi di ordine geopolitico in Medio Oriente. Gli interessi in gioco sono talmente forti da rendere la politica internazionale cieca di fronte alle prove dei crimini e degli abusi commessi dall’esercito della «più grande democrazia del Medio Oriente» contro i civili palestinesi, tanto sul campo quanto nelle carceri – veri e propri centri di tortura, come documentato dalla ONG israeliana B’Tselem.
Nel nuovo Monthly Report, il mensile di inchiesta e di approfondimento de L’Indipendente, ripercorriamo quanto accaduto durante un anno di aggressione militare, spiegando quali siano gli interessi politici ed economici in gioco e come le istituzioni sovranazionali (l’ONU su tutte) abbiano fallito nell’elaborare una strategia politica efficace per porre fine al massacro della popolazione civile.
Il libro ripercorre cinque anni di guerra di un adolescente tra il 1940 e il 1945
Milano, ottobre 2024. “Diario sotto le bombe – Cinque anni di guerra di un adolescente” (Segni e Parole), il libro che ripercorre i tragici anni dal 1940 al 1945 raccontati da un punto di vista particolare (quello di un ragazzinoche all’epoca aveva solo 10-15 anni), sarà presentato domenica 27 ottobre, alle ore 16, alla Chiesetta di Cascina Linterno (via Fratelli Zoia, 194 – Parco delle Cave, Milano).
Il diario è stato scritto da Paolo Grassi, che durante la Seconda guerra mondiale annotò le sue vicende personali intrecciandole con i momenti che sconvolsero il mondo.
Diario sotto le bombe, pubblicato postumo,ripercorre i cinque anni più tragici della storia italiana – dallo scoppio della guerra alla caduta del fascismo, dalla sanguinosa occupazione nazista fino alla Liberazione – visti con gli occhi di un ragazzino costretto dagli eventi a crescere troppo in fretta. Pur tra violenze di ogni tipo, dalle pagine emerge il desiderio di vivere, il mantenimento dei valori, la ricerca – per quanto possibile – di una “normalità” adolescenziale, che fa però presto spazio alla consapevolezza, all’indignazione per gli orrori quotidiani. Diario sotto le bombe è un libro appassionato e appassionante dal quale emergono storie lontane, da non dimenticare mai.
Il libro è ambientato prima a Milano e successivamente a Lumellogno, alle porte di Novara, dove l’autore fu costretto a sfollare dai nonni dopo che la sua casa milanese venne distrutta dai bombardamenti.
“Sono molto felice di presentare il libro alla Cascina Linterno – dichiara il figlio dell’autore e curatore del libro Davide Grassi – Consiglio la lettura del Diario sotto le bombe soprattutto ai giovani. Aiuta infatti a comprendere la storia in modo semplice e immediato perché raccontata da chi all’epoca aveva più o meno la loro età. Coltivare la memoria e conoscere il passato è fondamentale per costruire il futuro senza ripetere gli stessi errori. Questo libro lo considero un testimone che ho ricevuto da mio padre e voglio trasmettere alle nuove generazioni”.
Ieri il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti è apparso in conferenza stampa con il viceministro Maurizio Leo per presentare i contenuti della nuova legge di bilancio e del documento programmatico di bilancio, giunto davanti alla Commissione Europea. Chiuso il siparietto derivato dalla rottura di un bicchiere, il ministro ha iniziato subito a elencare molto sommariamente i punti fondamentali della nuova manovra, annunciando trionfalmente di aver raggiunto un accordo con l’Unione Europea per un nuovo «piano di risanamento del deficit», della durata di sette anni. Questo piano è in linea con il bilancio strutturale, finanziato principalmente da un contributo di circa 3,5 miliardi di euro proveniente da banche e assicurazioni, oltre a tagli alla spesa pubblica. Uniche eccezioni ai tagli, i ministeri di sanità e difesa, quest’ultima richiesta dalla NATO, dall’UE e dal “Rapporto Draghi”.
In sede di conferenza stampa, il ministro Giorgetti è stato abbastanza parco nel fornire informazioni. «Il piano di risanamento per l’estensione a 7 anni» approvato dall’UE prevede interventi coerenti con la legge di bilancio vera e propria, che sarà discussa la prossima settimana, presumibilmente lunedì 21 ottobre. «I sacrifici li faranno le banche e le assicurazioni», ha rassicurato Giorgetti, per poi smentirsi subito dopo: a dovere “sacrificarsi”, infatti, saranno anche «le strutture dei ministeri, che sono chiamate a un importante contributo in termini di taglio», pari a «una riduzione media del 5% delle spese correnti delle amministrazioni dello Stato». Ai tagli ministeriali, inoltre, si affiancheranno anche quelli agli enti, ai soggetti, e alle fondazioni finanziate dal denaro pubblico, che «saranno chiamate a rispettare alcune regole elementari di buona finanza», razionalizzando il denaro.
Insomma, dietro ai giri di parole e all’elenco delle grandi imprese del governo, sembrerebbe nascondersi una imposta politica di austerità, ribattezzata con il termine “sacrificio”. L’annuncio di un accordo relativo al piano di risanamento del deficit era atteso da quest’estate, dopo che l’Unione Europea aveva avviato una procedura di infrazione contro l’Italia per disavanzo eccessivo basato sul deficit. Poco dopo l’annuncio, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha pubblicato un rapporto in cui spiega dettagliatamente che, per adeguarsi agli “aggiustamenti” del nuovo patto di stabilità, l’Italia dovrà portare avanti un taglio alle spese pubbliche pari a circa 10,25-12,3 miliardi di euro all’anno per sette anni.
A essere escluso dai tagli, sotto richiesta degli alleati e su caldo consiglio di Mario Draghi, è il settore della difesa, su cui in effetti l’Italia non sembra volere essere parsimoniosa. Durante il suo mandato, il governo Meloni ha, infatti, aumentato la spesa per la difesa, nonché per l’acquisto di aerei e carri armati. In generale, negli ultimi anni il Paese ha aumentato l’esportazione di armamenti, così come la spesa militare, che nell’ultimo decennio risulta più che raddoppiata. Questo aumento di investimenti, produzione, esportazione, e acquisto nel settore bellico risulta pienamente in linea con le richieste della NATO, dell’UE, e di Draghi. L’Alleanza Atlantica ha infatti suggeritoagli Stati di arrivare a spendere più del 2% del PIL nel settore militare, l’Unione Europea si sta muovendo per la costruzione di un piano di difesa comune, mentre il “Rapporto Draghi” consiglia molto caldamente di riservare più fondi e meno burocrazia al settore delle armi.