PLAN 75: LA MORTE DEGLI ABBANDONATI

massimo selis

Plan 75: un programma di Stato per un’eutanasia legalizzata. Una distopia ambientata in Giappone capace di mostrare il lato disumano della società nella quale già viviamo, dove gli “improduttivi” diventano un peso insostenibile. Il film della Hayakawa delinea dei ritratti umani immergendoci nell’assurdità di un intero sistema sociale che ha perso ogni contatto con la vita. Da vedere.

L’immagine sfuocata e fissa di un ambiente interno. Si intuiscono degli oggetti a terra. Poi una figura si muove sul fondo e fa cadere qualcosa. Un’eco riempie lo spazio che sembra disabitato. Ci accompagna la dolce musica della Sonata per pianoforte n. 5 in sol maggiore, di Mozart.

Così si apre Plan 75, il lungometraggio di esordio della regista giapponese Chie Hayakawa. Due minuti che trasmettono allo spettatore un sentimento e una percezione dissonanti. La musica continua e la scena si mette a fuoco. Si scopre così che un giovane aveva fatto irruzione in un centro per anziani compiendo una strage. Il suo gesto estremo vuole richiamare l’attenzione sua una questione sociale che sta creando tensioni in tutto il Paese: l’invecchiamento della popolazione e la denatalità hanno portato ad un carico fiscale eccessivo per le nuove generazioni. Gli anziani sono così un peso che ricade prima di tutto sui giovani.

A fronte di questo problema il Governo decide di varare un piano denominato appunto Plan 75 che prevede la possibilità di accompagnamento alla morte per tutti i cittadini che abbiano compiuto 75 anni e che ne vogliano fare richiesta. Ogni cittadino avrà un impiegato che lo assiste e lo guida fino al giorno in cui viene praticata l’eutanasia e nel frattempo riceverà anche una somma di denaro da spendere liberamente.

«Le manifestazioni di odio verso le persone anziane del Paese hanno portato la comunità a richiedere più volte un intervento drastico per affrontare questo problema divenuto sempre più critico», recita la voce di un giornalista alla radio.

Distopia? Certamente il film della Hayakawa si presenta in superficie come tale, ma l’ambientazione è quella del Giappone di oggi. E in effetti lo spunto nasce proprio dalla realtà che il Paese del Sol Levante sta già vivendo con una popolazione sempre più anziana e una tensione fra le generazioni che rischia di crescere.

Con uno stile che ricerca la semplicità ma sa anche essere evocativo, in cui si notano i riferimenti ad un certo cinema autoriale giapponese con autori come Kore’eda e HamaguchiPlan 75 non è un film a tesi, per fortuna, altrimenti non sarebbe arte e non saremmo qui a parlarvene. Certo in alcuni momenti si eccede nella chiarezza espositiva del tema fondante, come ad esempio all’inizio del film in cui con troppo anticipo, a nostro avviso, viene esplicitato il programma di eutanasia promosso dal Governo. Ma l’intento della regista, brillantemente raggiunto, è quello di delineare dei ritratti umani, dei percorsi e degli incontri che cambieranno le vite dei personaggi.

Plan 75 segue infatti più storie che si incrociano, si sfiorano dentro questo programma di morte ideato dallo Stato. Conosciamo così la signora Michi, costretta a lavorare come tutti gli anziani perché priva di pensione, e che alla fine, non trovando nessun impiego dopo l’ultimo licenziamento, decide di aderire al progetto. Qui trova ad assisterla una giovane impiegata che, contravvenendo alle regole, accetta di spendere del tempo con lei, donandole un po’ di calore umano. Poi c’è Hiromu anch’egli impiegato per il Plan 75 che scopre che uno dei tanti anziani che hanno chiamato per aderire al piano è un suo zio che non vedeva da anni. Infine c’è l’infermiera Maria, giovane madre filippina che accetta questo nuovo lavoro stando “dietro le quinte”, a smistare gli effetti personali dei defunti. Un lavoro preso per racimolare i soldi necessari per pagare una delicata operazione a cui deve essere sottoposta la figlioletta.

Varie umanità che si muovono in una realtà metropolitana fredda e insensibile. Non c’è compassione, non c’è relazione. Anche scenograficamente noi passiamo dalle modeste e spoglie case degli anziani che decidono di ricorrere all’eutanasia, all’asettica e moderna architettura degli uffici. Tutto comunica distanza.

L’opera prima della Hayakawa non è però, come superficialmente si potrebbe intendere, focalizzata sull’eutanasia, ma sulla disumanizzazione del vivere, delle relazioni, dell’impianto sociale stesso, sulla perdita del senso dell’esistenza che ha da sostanziarsi anche nel lavoro e nella struttura della società. Perché tutto questo è la premessa all’eutanasia. Premessa che è assolutamente applicabile anche alla nostra realtà, ma che vogliamo sbrigativamente archiviare mettendoci in pace la coscienza opponendoci semplicemente all’ideologia della “dolce morte”, ma senza mettere in discussione tutto il resto. Soprattutto senza mettere in discussione noi stessi.

Se a dominare è la produttività – anche quella intellettuale, ci abbiamo mai pensato? – nel momento in cui per la società veniamo ritenuti “improduttivi”, e non solo in quanto anziani, allora la nostra vita perde di senso, ancor più, perde di dignità. Si è, perché si produce.

Il film mostra il paradosso per cui gli anziani sono obbligati a lavorare perché non esiste più un sistema pensionistico, ma allo stesso tempo le aziende non li vogliono assumere o ad un certo punto li licenziano perché se uno di loro dovesse morire sul lavoro l’immagine aziendale ne sarebbe danneggiata. In una scena, terribile e potente per la sua “normalità”, alcuni uomini mostrano ad Hiromu alcuni modelli di braccioli da applicare alle panchine per evitare che gli anziani senza tetto possano dormirci sopra.

Agghiacciante, perché raccontato con sottigliezza dalla regista, è proprio il fatto che mentre gli impiegati del piano governativo accompagnano le persone che vi hanno aderito e ripetono loro più volte che essi sono liberi in qualsiasi momento di abbandonare il programma, la società non offre più alcun sostegno agli anziani. Si è accompagnati, se si vuole, a morire, ma non se si vuole continuare a vivere.

Certamente il film va inserito nel contesto e nella cultura del Giappone, ma saremmo ipocriti se non vedessimo il parallelo con la nostra, con lo sgretolamento sempre più accelerato del sistema pubblico e ancor più e prima, della perdita del senso di comunità, del senso di lavorare e operare in vista di un bene comune, di un bene più grande. Perché dove tutto è solo orizzontalità, ridotta la dimensione spirituale a qualcosa di interiore o al più di moralistico, le vite sono numeri, tutto è numero. Qualcuno, già un secolo fa parlava della nostra era “antimetafisica” per eccellenza come il Regno della Quantità. Ecco, noi ora viviamo l’estremizzazione ultima di questo sovvertimento, ma facciamo di tutto per non accorgercene.

E dove tutto è solo numero finalizzato alla produttività, non solo le persone, ma anche le cose perdono il loro valore. Le scene in cui vediamo Maria che smista con un collega gli oggetti appartenuti ai defunti – borse, orologi, gioielli, abiti – trasmettono morte, ancora più di tutto il resto del film. La vita si spegne, diventa muta, e muti sono anche gli oggetti. Non c‘è più nessuna storia che emerge da essi, perché non c’è più spazio per la memoria. Tutto scorre nella catena di montaggio di questa società disumana. Una catena di oblio che divora tutti, prima o poi.

Al contrario la vita è proprio questo, è linguaggio che si dipana anche dalle cose a cui siamo stati legati, perché dietro un oggetto c’è sempre un legame, c’è una storia. Se la Vita è qualcosa di meraviglioso e misterioso è perché tutto parla in essa. La Storia parla, le anime parlano, gli oggetti parlano.Prima di discutere sull’eutanasia e su altre mostruosità partorite da questo mondo deforme, dovremmo prima interrogarci su quanto ci siamo tutti allontanati dalla fonte della Vita, quanto essa sia al più divenuta una semplice ideologia con la quale mettiamo a tacere la nostra coscienza. 

Senza svelare il finale del film, dobbiamo però dire che la Hayakawa ci congeda con delle scene piene di luce e di speranza. Perché la luce è più forte delle tenebre, e sa illuminare anche quelle zone d’ombra che vorremmo tenere nascoste. C’è tanto bisogno di luce nella nostra società morente, ma dobbiamo prima puntarla su di noi, dentro di noi, e non cadere nel solito rischio di voler solo togliere il buio dalle vite degli altri. E questa luce allora ci farà riscoprire come tutto ci parla, eravamo solo noi che avevamo chiuso gli occhi e le orecchie.

NOTA: Le immagini riportate nell’articolo sono di proprietà di Tucker Film

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Giornata mondiale della danza

Oggi ricorre la giornata dela Danza, la celebriamo pubblicando la lettera scritta in suo onore da uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi: Rudolf Nureyev

LETTERA ALLA DANZA

“Era l’odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza.
Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consunte ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi. Ogni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l’odore di canfora, legno, calzamaglie,
ero un’aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa. Ricordo una ballerina Elèna Vadislowa, famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine coso, per gli insegnanti che la guardavano, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte della sua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.
Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sala e sentire il mio sudore uscire dai pori del viso. La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore. Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l’unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni, la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. Ero e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l’unica cosa che volevo era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all’orizzonte. Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione ed il mio bisogno di danzare. Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri più luminosi della danza.
Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare.
Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita… “

Rudolf Nureyev

🇮🇹 BLITZ CINESE IN SARDEGNA: COMPRATI MILLE ETTARI DI TERRENI PER IL PIÙ GRANDE PARCO FOTOVOLTAICO D’EUROPA

Con un vero e proprio blitz finanziario, la Cina mette le mani su mille ettari di terreni nel nord Sardegna.

La più grande società fotovoltaica della Repubblica Popolare cinese, la Chint, ha acquistato da una compagine spagnola, la Enersid, il più imponente progetto solare mai pianificato in Italia e in Europa.

Il piano di “invasione” destinato a stravolgere la Nurra era stato svelato 4 mesi fa dal nostro giornale. Ieri la comunicazione alle Borse della vendita del progetto ai cinesi.

Allarme anche a Guspini a causa dei numerosi progetti agrivoltaici, progetti pronti a strappare territorio utile per lo sviluppo e l’economia.

La documentazione di “Green and Blue Su Soi Abc” (presentato da Sf Grid Parity I srl.), riferisce di pannelli pronti ad occupare oltre 250 ettari di terreno fra Guspini (162 ettari) e San Nicolò d’Arcidano (90 ettari nell’Oristanese).

Parte di questi futuri specchi agrivoltaici, capaci di sprigionare una potenza di 152,7 megawatt, rientrano in ambito costiero, siti di interesse comunitario, Zps e vicino alle rovine archeologiche dell’antica città di Neapolis, situata al limite meridionale del Golfo di Oristano. Le autorità locali non ci stanno e si preparano a dare battaglia. (Fonte: L’Unione Sarda)

Spending Review: tagli sulla scuola

Che futuro può avere un popolo che fa tagli sulla Scuola e sulla Sanità ed è il popolo più tassato d’Europa ?

La spending review del governo Meloni avanza e la scuola si prepara a nuovi tagli. Dopo i 3,5 miliardi di euro di tagli previsti dal DEF 2022, il Ministero dell’Istruzione dovrà affrontare ulteriori riduzioni di bilancio nei prossimi anni.

Come segnala Il Messaggero, per il Ministero dell’Istruzione e del Merito, guidato da Giuseppe Valditara, si parla di 45,2 milioni di euro di tagli per il 2024 e 49,2 milioni per il 2025. Tra le aree interessate dai tagli – su cui il Ministero sta svolgendo una serie di valutazioni – potrebbero esserci i servizi per gli asili nido, con il passaggio di questo settore sotto l’ombrello del PNRR, ma anche l’ambito relativo a formazione e aggiornamento del personale scolastico, che potrebbero subire una riduzione di finanziamenti, pur con la cautela di non compromettere gli obiettivi del PNRR. (Fonte: Orizzonte Scuola

Macron “Stretta tra Putin e Trump l’Europa può morire”

Roma 26 aprile 2024 – “Ha ragioneMacron nel dire che l’Europa come soggetto politico autonomo può morire. Può morire di consunzione, di immobilità a fronte delle minacce esiziali che vengono dalla Russia, dalla Cina, potenzialmente da una presidenza Trump, da chi vuole dividere gli europei e minare l’Unione. Per questo servono regole istituzionali diverse, perché per rispondere alle sfide in atto e a quelle che verranno a breve, occorre poter prendere delle decisioni e farlo rapidamente, e oggi troppo spesso l’Europa è paralizzata dal conflitto tra i Paesi membri”. Così il professor Eric Jones, politologo americano, direttore del Robert Schuman Centre for Advanced Studies all’European University Institute di Fiesole.

Professor Jones, è solo Macron a lanciare l’allarme oppure è convinzione comune che l’Europa, per dirla con Hemingway, senta “suonare la campana“?

“Sono appena tornato da Bruxelles e il mood lì è che stiamo vivendo una crisi esistenziale dell’Europa e che per fronteggiarla serva un vero, autentico scatto di reni. Ne ha parlato Macron, ma anche Enrico Letta nel suo recente rapporto e Mario Draghi, lo abbiamo visto in questi anni e lo vedremo presto nel suo rapporto sulla competitività dell’Unione, pensano la stessa cosa. Serve una riforma che vada oltre le cosiddette “clausole passarella“ previste dal trattato di Lisbona, che hanno introdotto sì una qualche flessibilità evitando la regola l’unanimità, ma solo se esiste una unanimità nell’attivare questo meccanismo. È ancora troppo poco”.

Ma ci sono le condizioni per arrivare a un progetto di riforma istituzionale dell’Europa?

“In prospettiva è possibile, solo in prospettiva. Ora bisognerà procedere con gradualità. Il primo passo sarebbe trovare l’accordo per creare eurobond per garantire a livello europeo una parte del debito pubblico e investire sulla Difesa europea, che darebbe sicurezza all’intero continente e richiede risorse continentali. Le riforme istituzionali, che ritengo siano inevitabili, avverranno in una seconda fase, se sapremo creare le condizioni giuste”.

Quella che viene dalla Russia è una minaccia fondamentale per l’Europa?

“Lo è sicuramente, e non solo a livello militare. Putin rema sistematicamente contro l’Europa, cerca ogni modo per disgregarla. E purtroppo è un fatto che che ci sono Stati come l’Ungheria che sostengono in buona parte l’agenda di Putin, e questo non è accettabile”.

Per resistere alle mire di Putin è meglio investire di più nella Difesa sotto l’ombrello Nato o serve anche un esercito Ue?

“Le due cose non vanno viste in contraddizione. L’ombrello Nato era e sarà fondamentale, vista la forza militare che possono garantire gli Stati Uniti. Sarebbe illusorio pensare di abbandonare la Nato. Ma avviare anche un esercito europeo sarebbe una risposta opportuna e necessaria per far fronte ai competitori strategici, in primis Russia e Cina. Non credo che gli Stati Uniti sarebbero contrari”.

A proposito: che succede se a novembre vince Biden, e, di contro, se viene eletto Trump?

“Se vince Trump, specie con una maggioranza al Congresso, potrà fare tutto quello che vuole e quello che lui vuole è il divide et impera : stringere accordi con singoli Paesi europei e disgregare l’Ue, mettendo gli europei uno contro l’altro. L’Europa si troverebbe così schiacciata tra una America che punta a disgregarla e due competitori strategici come la Russia di Putin e la Cina di Xi, che ne percepiscono la debolezza. Sarebbe una sfida terribile e non è uno scenario improbabile: può accadere davvero”.

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PASTA, IL DESIGN PRIMORDIALE SENZA FIRMA

Milano, 18 aprile 2024 – Movimenti sapienti delle mani, carezze all’impasto che sembra prendere vita nella sua forma finale. Come nasce un pizzocchero? Da un rituale moderno quanto antico, tramandato da quando esiste l’essere umano, frutto della felice e simbiotica crasi fra ingegno e tradizione. Sono oltre 300 le tipologie di pasta al momento esistenti, altre sono pronte per essere pensate, eseguite e poi codificate. Ed è proprio la pasta a essere al centro dell’appuntamento dedicato al rituale moderno organizzato dall’associazione culturale Derivasabato 20 aprile a Milano (Studio Moby, via Francesco Soave 23, 11-18.30).

«In una settimana che vede Milano capitale del design, grazie al Salone del Mobile, non potevamo esimerci dall’occuparci della pasta – spiega Eleonora Grassi, co-founder di Deriva – Farlo, infatti, significa cimentarsi in una delle più compiute dimostrazioni di design. Un design primordiale, una di quelle forme su cui nessuno può mettere una firma. Forme stratificate solo dalla conoscenza e dal tramandarsi paziente di una ritualità che, nella sua completezza, attraversa la storia».

Il programma della giornata
Paola, Ornella, Sara, Jack, Clelia: saranno loro i veri designer del rituale moderno del fare la pasta. Non gelosi della loro conoscenza, sono pronti a condividerla con chiunque abbia voglia di rimboccarsi le maniche e affrontare il mistero antico del fare la pasta. Per partecipare ai workshop basta registrarsi gratuitamente su Eventbrite al link: rb.gy/pzl7ka. Designer di gnocchi saranno Paola Zuffi e Ornella Gumolli in due turni, dalle 11 alle 13. Di pizzoccheri si occuperà Sara Polatti (13-14.30), mentre Jack Torresi (Bistrò Latomare) metterà in mostra l’arte di fare i maccheroncini di Campo Filone. Concluderà la giornata Clelia Dessì (Ristorante da Giordano il Bolognese) con lo spazio dedicato agli gnocchetti sardi (16-17). Il programma è disponibile sul sito Eventbrite all’indirizzo: rb.gy/pzl7ka.

Partner della giornata sono: Agribirrificio La Morosina, Azienda agricola I Carpini, BiciBaleno, Compagnia del pesto genovese, Favini Flavia Rebellious Wines, Gerli 1870, Giampiero Aprile, LOsT TiME.

Lorenzo Belletti
splash@projectderiva.com

Deriva
Deriva nasce come luogo di partenza verso mete sconosciute. Nasce dall’incontro fra due comunicatori (Lorenzo Belletti e Paolo Belletti) e un architetto (Eleonora Grassi), uniti dalla voglia di trovare le istruzioni per perdersi in un territorio in cui cominciare ad aprire vie, itinerari, incroci che traccino mappe non ancora disegnate. Un punto di incontro tra realtà e persone che interagiscono con l’intento di costruire esperienze nuove. Deriva esplora, indaga, ricerca. Attirata da spiragli e visioni, si immerge, ti interroga e riemerge con un nuovo orizzonte.

SÌ, RUSSIA E UCRAINA SONO STATE VICINE ALLA PACE. ORA LO DICE ANCHE FOREIGN AFFAIRS

Lo aveva già detto Erdogan e lo avevano confermato vari diplomatici turchi, ma in Occidente si ascolta poco quello che dice la Turchia. Lo aveva detto Putin, ma Putin, si sa, è cattivo e mente per definizione. Lo aveva detto persino Davyd Arakhamia, che fu a capo della delegazione ucraina ai colloqui di pace con i russi in Bielorussia e Turchia nel 2022, ma la sua intervista dello scorso novembre, chissà perché, ricevette poca attenzione sui nostri media. Ora lo dice pure Foreign Affairs, l’influente rivista di relazioni internazionali del Council on Foreign Relations, think tank che ha annoverato dal 1921 ad oggi dozzine di Segretari di Stato, direttori della CIA, banchieri, avvocati, professori, esponenti dei media. In breve, una delle voci più importanti dell’establishment americano.

Dopo aver studiato attentamente le bozze di accordo tra Russia e Ucraina, Foreign Affairs è giunta a una conclusione sorprendente: all’inizio del conflitto, Mosca e Kiev sono state davvero vicine alla conclusione di un trattato di pace. Durante i negoziati, la Russia ha proposto la sua bozza di accordo, in cui ha chiesto con insistenza la neutralità dell’Ucraina. L’Ucraina voleva ricevere garanzie di sicurezza da altri Stati. Alla fine di marzo, quando i negoziatori si sono incontrati a Istanbul, sono riusciti a ottenere una svolta: le parti hanno annunciato di aver concordato un comunicato congiunto. Il trattato previsto avrebbe dichiarato l’Ucraina uno Stato permanentemente neutrale e non nucleare. L’Ucraina avrebbe abbandonato la sua intenzione di stringere alleanze militari o di consentire l’ingresso di basi militari o truppe straniere sul suo territorio. Allo stesso tempo, il percorso di Kiev verso l’adesione all’UE è rimasto aperto. I membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, così come Germania, Israele, Italia, Canada, Polonia e Turchia sono stati nominati come possibili garanti. Sebbene l’interesse dell’Ucraina a ricevere queste garanzie sia ovvio, non è del tutto chiaro il motivo per cui la Russia abbia accettato. Eppure, il comunicato suggerisce che questo è esattamente ciò che Putin era disposto ad accettare. Tuttavia, invece di accettare il comunicato di Istanbul e il successivo processo diplomatico, l’Occidente ha aumentato gli aiuti militari a Kiev e ha aumentato la pressione sulla Russia, anche attraverso sanzioni sempre più severe. Le potenze occidentali sono intervenute e hanno affossato l’accordo perché erano più interessate a indebolire la Russia che a porre fine alla guerra, ha detto il capo del Cremlino. I colloqui alla fine sono falliti, ma ci ricordano che Mosca e Kiev erano disposte a fare compromessi insoliti per porre fine alla guerra. Si è trattato di un tentativo ammirevolmente ambizioso, sottolinea la pubblicazione.

Fonte – Telegram

L’EUROPARLAMENTO VOTA PER INSERIRE L’ABORTO TRA I DIRITTI FONDAMENTALI

Con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astenuti, il Parlamento europeo ha dato ieri il semaforo verde a una risoluzione – non vincolante –, che chiede espressamente di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Nel testo, l’Eurocamera ha infatti chiesto che l’articolo 3 della Carta sia modificato, affermando che “ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva”, nonché “a tutti i servizi sanitari correlati senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale”. La risoluzione sollecita i Paesi UE a “depenalizzare completamente l’aborto”, come previsto dalle linee guida dell’Oms del 2022, e “a rimuovere gli ostacoli all’interruzione volontaria di gravidanza”, esortando Polonia e Malta ad “abrogare le loro leggi e altre misure che lo vietano e lo limitano”. Hanno votato a favore liberali, socialisti, Verdi e Sinistre, mentre i Popolari si sono divisi. Hanno votato contro i Conservatori (Ecr) e i sovranisti di destra ed estrema destra del Pe (Id).

di Stefano Baudino fonte L’INDIPENDENTE

NOTA DI REDAZIONE – La nostra opinione: Noi concepiamo l’interruzione di maternità entro i primi mesi di gravidanza in caso di subita violenza da parte della donna, in caso di certezza che il bimbo atteso sia gravemente malformato o disabile. In tutti gli altri casi di gravidanza indesiderata, per rispetto della vita umana, l’aborto non può essere la soluzione. Occorre supportare le future mamme e i bimbi, entrambi vittime di questa incredibile decisione. L’Europa si è avviata da tempo verso il relativismo, questo è contrario al nostro sentire e alla nostra visione della vita. Questa Europa non ci piace. Invitiamo il Governo ad accelerare l’educazione sessuale nelle scuole invece di intervenire a “guaio combinato” almeno per i giovanissimi.

In commissione Cultura è ferma da mesi una legge per l’educazione sessuale nelle scuole

Nonostante almeno 8 italiani su 10 si dicano assolutamente favorevoli all’introduzione dell’educazione affettiva e sessuale nelle scuole, sul tema la politica rimane ripiegata su se stessa e, di fatto, ferma al palo. Sin dalla scorsa Legislatura, infatti, giace alla Camera dei Deputati una proposta di legge per l’introduzione della materia all’interno degli istituti scolastici, a prima firma Stefania Ascari (M5S), che in sei anni non è mai riuscita a vedere la luce, e che è stata nuovamente depositata in commissione Cultura dopo l’insediamento del nuovo Parlamento. Si tratta, nello specifico, di una norma che si pone l’obiettivo di promuovere percorsi formativi che favoriscano lo sviluppo dell’intelligenza emotiva e l’insegnamento dell’educazione affettiva e sessuale attraverso ingredienti come lo sviluppo dell’empatia e delle competenze socio-emotive, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la prevenzione e il contrasto di ogni forma di discriminazione e la tutela del diritto all’integrità personale, della dignità umana e dell’uguaglianza. La proposta è attualmente in discussione alla Commissione Cultura della Camera. Il mondo dei partiti, però, resta molto diviso.

Nella proposta di legge, composta da tre articoli, si mette espressamente nero su bianco che per “educazione sessuale” si intende “l’insieme degli interventi educativi destinati alle alunne e agli alunni delle scuole secondarie di primo e di secondo grado” atti a perseguire “una piena e compiuta consapevolezza della sessualità, nel pieno rispetto e riconoscimento dei valori di uguaglianza, pari dignità e rispetto dell’altro”. Lo si fa, soprattutto, con l’obiettivo di “prevenire e di fronteggiare ogni forma di disagio in ambito scolastico, familiare e sociale, nonché i comportamenti a rischio quali il bullismo, il cyberbullismo o qualsiasi altra forma di prevaricazione e violenza di genere”. A tal fine, la proposta contempla l’istituzione di un Fondo – sulla base di una dotazione di 10 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2024 – finalizzato al finanziamento di interventi a favore dell’insegnamento della materia, alla crescita e alla maturazione psico-affettiva e socio-relazionale degli studenti, imperniata sulla conoscenza e il rispetto di sé e dell’altro, nonché alla responsabilità sociale e alla valorizzazione della diversità di genere. Inoltre, nella pdl si prevede che, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento, vengano stabilite con decreto le linee guida per l’insegnamento dell’educazione affettiva e sessuale, in cui siano individuati “specifici traguardi per lo sviluppo delle competenze e obiettivi specifici di apprendimento”, nonché modalità e criteri di definizione di “accordi e progetti di collaborazione” finalizzati alla realizzazione dei percorsi formativi “con le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere di riferimento, i consultori e il personale medico-sanitario specializzato che opera nell’ambito del SSN”, nonché “con l’ordine degli psicologi e le associazioni dei pedagogisti”.

«Sono oltre 40 anni che vengono scritti provvedimenti per contrastare la violenza di genere, con cui sono state abrogate leggi abominevoli come il matrimonio riparatore, il delitto d’onore e lo ius corrigendi – spiega Stefania Ascari, prima firmataria della proposta di legge, a L’Indipendente -. Eppure, nonostante si sia intervenuti efficacemente sul reato di violenza carnale, divenuto di violenza sessuale con la messa al centro del bene giuridico dell’autodeterminazione, nonché con il recepimento della Convenzione di Istanbul e il Codice Rosso, nel 2024 viene uccisa una donna ogni due giorni. E se le leggi ci sono, cos’è che non sta funzionando? Il fatto che sul tema non sia stata avviata una vera e propria rivoluzione culturale che vada a modificare la mentalità che ci portiamo dietro, cioè quella dote pesante di patriarcato sociale, misoginia, sessismo, omertà e incapacità di amare». Una rivoluzione culturale che, secondo Ascari, non può che partire dalle scuole. «In questa proposta di legge, nata ascoltando studenti, insegnanti, associazioni e vittime di violenza di genere, intendiamo avviare fin da subito percorsi di educazione affettiva, dando spazi imparziali a studenti e studentesse in cui possano essere messe sul piatto domande a cui siano chiamati a rispondere psicologi, psichiatri, esperti di linguaggio, associazioni e vittime, sulla base di un confronto costante». Un confronto che, effettivamente, oggi manca del tutto, sia in ambito scolastico che, molto spesso, nel contesto familiare. Infatti, prosegue Ascari, «oggi i ragazzini vanno alla ricerca di queste risposte in rete senza avere un pacchetto di strumenti per affrontare i suoi meandri, finendo per farsi educare dalla pornografia». Per questo motivo, sostiene la deputata «è essenziale che gli insegnanti siano efficacemente formati: anche e soprattutto a questo servirà il Fondo previsto nella pdl, che garantirà che questi percorsi, atti a fornire un “alfabeto delle emozioni”, siano sistematici e continuativi, vedendo il coinvolgimento delle famiglie». Tale progetto, puntualizza Ascari, sarà portato avanti «nel rispetto dell’età e delle idonee modalità» e metterà al centro il concetto di prevenzione, per scongiurare sin da subito «il continuo circolo di infezioni e malattie sessualmente trasmissibili, nonché l’avvento di gravidanze indesiderate».

Attualmente, il testo è in discussione in Commissione Cultura a Montecitorio. È stato nuovamente presentato alla Camera lo scorso novembre, in seguito a una prima proposizione nel 2018, che nella precedente legislatura non aveva avuto alcun seguito. Sebbene oltre l’80% degli italiani si esprimano favorevolmente rispetto alla prospettiva dell’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole, i partiti restano infatti molto divisi, con un centrodestra di governo che appare monoliticamente contrario alla proposta, mentre qualche apertura la si scorge tra le frange progressiste del Parlamento. «Noi siamo aperti a trovare sponde in maniera trasversale: questo testo non deve avere un colore politico», conclude Stefania Ascari.

Diversi studi hanno fatto una valutazione dell’impatto che ha avuto l’introduzione di programmi nazionali a lungo termine di educazione alla sessualità in alcuni paesi. Tra i risultati tangibili, ci sono la riduzione delle gravidanze e degli aborti in età adolescenziale, delle infezioni sessualmente trasmissibili fra i giovani tra i 15 e i 24 anni, degli abusi sessuali e dell’omofobia. Coinvolgere già i più piccoli in momenti di educazione sessuale e affettiva appare sempre più essenziale per contribuire a che essi sviluppino la capacità di gestire le proprie emozioni e mettere dei confini di fronte a situazioni spiacevoli, rinforzando a livello sociale gli elementi di parità e sapendo riconoscere stereotipi di genere, linguaggi non rispettosi, immagini allusive, pubblicità sessiste, tutti elementi diffusi nella comunicazione (anche pubblicitaria e mediatica) del mondo degli adulti che possono alimentare, se non ben decodificati, comportamenti irrispettosi e violenti. Molta attenzione negli ultimi anni è stata infatti dedicata da parte di ricercatori al fenomeno delle teen dating violence (TDV), ovvero quell’insieme di atti di coercizione, prevaricazione e controllo che si concretizzano all’interno di relazioni intime tra adolescenti e si mettono in atto attraverso comportamenti violenti, aggressivi e di dominazione. Tutti sintomi di un approccio deviato al mondo delle relazioni e del sesso che l’educazione affettiva ha l’obiettivo – e, da quanto raccontano i numeri, anche l’efficacia – di arginare.

di Stefano Baudino fonte L’INDIPENDENTE

ALL’OMS SONO RIPRESI I NEGOZIATI PER IL NUOVO TRATTATO SULLE PANDEMIE

Come sapete da qualche mese è in atto una discussione tra OMS e tutte le Nazioni sul protocollo che la OMS stessa vorrebbe che venisse adottato universalmente in caso di pandemie, in pratica esautorando gli stati dei loro poteri.

Pubblichiamo a questo proposito un articolo de L’Indipendente, vi facciamo comunque sapere che siamo totalmente contrari all’adozione del protocollo OMS che limiterebbe le persone di diritti fondamentali e violerebbe le libertà personali . Ci auguriamo che il governo italiano sia fermo e contrario.

Manuela Valletti

Dopo quasi due settimane di discussioni su temi definiti «cruciali» riguardo a future minacce globali, gli stati membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno concluso la nona riunione e hanno concordato di riprendere i negoziati dal 29 aprile al 10 maggio, mese in cui potrebbe iniziare il processo per finalizzare ufficialmente il trattato internazionale sulle pandemie.Lo riporta il sito dell’Organizzazione, la quale ricorda che il documento prevede finanziamenti adeguati per «la preparazione alle minacce, accesso equo a contromisure mediche necessarie e rafforzamento del personale sanitario», aggiungendo che l’accordo è fondamentale «per proteggere le generazioni future dalle sofferenze sopportate durante la pandemia di Covid-19». Se il testo verrà confermato e rettificato anche dall’Italia, il Belpaese dovrà impegnarsi a rispettare articoli potenzialmente giuridicamente vincolanti e, stando all’ultima versione disponibile della bozza del documento, riconoscere il ruolo centrale dell’OMS nella coordinazione per «stabilire obiettivi di ricerca e priorità» e «sviluppare prodotti legati alla pandemia», anche in collaborazione con il settore privato.

Si è conclusa il 28 marzo la nona riunione dell’Organismo di negoziazione intergovernativa (INB9) dell’OMS, l’istituzione creata a dicembre 2021 per la «prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie» dall’Assemblea mondiale della sanità. La ripresa delle trattative è stata prevista per il mese prossimo – dal 29 aprile al 10 maggio – e, secondo il comunicato stampa dell’Organizzazione, «costituirà una pietra miliare in vista della settantasettesima Assemblea mondiale della sanità, che avrà inizio il 27 maggio 2024, durante la quale gli Stati membriesamineranno il testo proposto per l’adozione del primo accordo mondiale sulla pandemia». «I nostri Stati membri sono pienamente consapevoli di quanto sia importante l’accordo sulla pandemia per proteggere le generazioni future dalle sofferenze che abbiamo sopportato durante la pandemia di Covid-19. Li ringrazio per il loro chiaro impegno nel trovare un terreno comune e nel finalizzare questo storico accordo in tempo per l’Assemblea Mondiale della Sanità», ha dichiarato il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus, il quale meno di due mesi fa aveva avvisato che «la prossima pandemia sarà una questione di quando, non se», concludendo che la prossima minaccia globale potrebbe essere causata da un «virus influenzale, da un nuovo coronavirus, oppure potrebbe essere causata da un nuovo agente patogeno che ancora non conosciamo, quella che chiamiamo Malattia X». L’impegno è stato riconosciuto anche dal dottor Precious Matsoso, co-presidente dell’INB Bureau che ha dichiarato: «I governi riconoscono chiaramente che l’obiettivo di un accordo pandemico è preparare il mondo a prevenire e rispondere a future pandemie, basandosi sul consenso, sulla solidarietà e sull’equità. Questi obiettivi devono rimanere la nostra stella polare mentre ci muoviamo verso la finalizzazione di questo impegno storico e urgente per il mondo».

L’attuale bozza dell’accordo, che prevede i finanziamenti per la preparazione alle pandemie e promette impegno per accesso equo alle contromisure mediche necessarie e rafforzamento del personale sanitario,obbliga anche i firmatari a riconoscere il ruolo centrale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella coordinazione per «stabilire obiettivi di ricerca e priorità» e «sviluppare prodotti legati alla pandemia», anche in collaborazione con il settore privato. Tali prodotti, dovranno essere sviluppati anche grazie agli investimenti pubblici e privati e anche attraverso l’impegno nell’incoraggiare «le organizzazioni internazionali ad effettuare investimenti» ed a «stabilire contratti a lungo termine» con i produttori. Il tutto mentre ciascuna parte si impegna a rafforzare e potenziare il sistema sanitario con la possibilità di adottare politiche, piani e strategie di sorveglianza attiva per combattere la minaccia e provare a contenerla. Il rischio, quindi, è quello di delegare il «ruolo centrale» nella coordinazione ad un’organizzazione internazionale che – come spiegato in un altro articolo de L’Indipendente – è finanziata principalmente da donazioni volontarie di organizzazioni private come la Bill and Melinda Gates Foundation e GAVI Alliance.

Si attendono ora solo le risposte del governo che già da mesi sembra spaccato a metà tra chi respinge il trattato e chi promette comunque di «portare avanti gli interessi dell’Italia»: così aveva risposto il ministro della Salute Orazio Schillaciall’interrogazione sul tema presentata dal senatore Claudio Borghi, che aveva chiesto risposte riguardo al rischio di cessione di sovranità e di conflitti d’interesse. Per quanto riguarda Fratelli d’Italia invece – che però in questi mesi ha presentato un piano pandemico simile a quello dell’ex ministro Roberto Speranza – attualmente l’ultimo commento sul tema risale al 29 marzo, quando il partito ha detto «no al Green Pass globale» e promettendo giustizia per le vittime di reazioni avverse al vaccino, senza comunque parlare direttamente del trattato dell’OMS.”

[di Roberto Demaio]

La matematica per capire Affari tuoi, il Superenalotto e le scommesse

MARZO 2024 – 14:30

Settantasette milioni di euro di jackpot, eppure la strategia migliore è quella di non giocare. Oppure finali al cardiopalma con premi da capogiro che fanno riflettere su quanto valga la pena di proseguire ad aprire pacchi, eppure il metodo per aggiudicarsi più soldi possibili rimane spesso quello di ignorare le offerte del dottore ed accettare il cambio solo in condizioni particolari. Dalle scommesse calcistiche fino al Superenalotto e persino a programmi di successo come Affari tuoi, la matematica si conferma l’unica variabile da non ignorare se non si vuole correre il rischio di cadere in tranelli realizzati da chi semplicemente il gioco l’ha pensato e costruito. Nonostante l’impulso emotivo di scegliere determinati numeri in base a sogni, premonizioni, date di nascita o di anniversario, è possibile dimostrare statisticamente che l’unica cosa che conta davvero è fermarsi, respirare e fare i conti, i quali mostrano che la strategia migliore è quella di non giocare nel caso delle scommesse e di non accettare offerte significativamente inferiori al valor medio, preferendo piuttosto il cambio solo se i pacchi di basso valore (i pacchi blu) risultano numericamente inferiori di quelli di alto valore (i pacchi rossi) nel caso di Affari tuoi.

Il concetto di Valore atteso

Per comprendere i meccanismi che regolano la maggior parte dei giochi d’azzardo, risulta fondamentale il concetto di “valore atteso” di una variabile aleatoria, chiamato anche “media” o “speranza matematica”. Tale quantità non è altro che la media dei valori possibili pesati rispettivamente con la loro probabilità di essere assunti. Si calcola similmente ad una media aritmetica pesata (si pensi per esempio a voti di scuola dal valore diverso), con l’unica differenza che il peso è dato dalla probabilità dell’evento. Considerando per esempio il lancio di una moneta equa che aggiudica il punteggio +1 per ogni testa e 0 per ogni croce, il valore atteso in un lancio sarà 0,5, mentre sarà 5 in 10 lanci e 25 nel caso vengano effettuati 50 lanci. Considerando un dado equo con sei facce e aggiudicando punteggi uguali al valore del lato estratto (+1 se esce 1, +2 se esce 2 e così via…), è facile accorgersi che “mediamente” ad ogni lancio ci si aspetta di ottenere 3,5, in quanto la somma dei 6 valori, ognuno moltiplicato per la probabilità di essere assunto (1/6) è proprio 3,5.

La matematica del Superenalotto

Usando questo semplice concetto non è difficile dimostrare che nel caso del Superenalotto – così come in tutti gli altri casi di scommesse dove le quote vengono appositamente regolate in maniera simile – la strategia migliore per vincere soldi è sempre quella di non giocare. Per comprenderne meglio i meccanismi, si può partire da due esempi che forniscono tutti gli elementi matematici che possono poi essere estesi al Superenalotto. Si immagini di scommettere 1 euro su un gioco che prevede il lancio di moneta equa che raddoppia l’importo nel caso di vincita (si supponga testa) e prevede invece la perdita della somma scommessa nel caso opposto (si supponga croce). In questo caso si tratta di un caso perfettamente bilanciato dove il giocatore vince mediamente un euro per ogni euro speso (ovvero mediamente non vince niente). Infatti, il valore medio risulta essere uguale a 1 moltiplicato per 0,5 (l’euro guadagnato moltiplicato per la probabilità dell’evento), a cui va sommato -1 moltiplicato per 0,5 (l’euro speso per giocare che viene perso, moltiplicato per la probabilità di perdita). Sommando si ottiene 0,5 – 0,5, che fa 0. Si supponga invece di partecipare ad un gioco che prevede la scommessa di un euro su quale tra 3 scatole contenga due euro, che vengono vinti nel caso di scelta corretta. Applicando lo stesso principio, non è difficile mostrare che in questo caso per ogni euro giocato vengono attesi 66,6 centesimi di vincita, il che equivale a dire che ad ogni tentativo corrisponde una perdita media di 33,3 centesimi. Infatti, la vincita media risulta essere uguale a 1 moltiplicato per un terzo (l’euro guadagnato moltiplicato per la probabilità di vittoria), a cui bisogna sommare due volte i casi di perdita, che prevedono ciascuno -1 moltiplicato per un terzo. La media risulterà quindi uguale a 1*1/3 + (-1)*1/3 + (-1)*1/3, che infatti fa circa -0,333 (ovvero -33,3 centesimi).

È facile mostrare quindi che per creare una scommessa svantaggiosa per il giocatore e favorevole al banco basta stabilire una vincita la quale assicuri comunque che lo sfidante perda mediamente denaro ad ogni tentativo. È lo stesso principio sfruttato dalla roulette dei casinò (che infatti paga 36 volte la somma scommessa su un numero che però ha probabilità 1/37 di essere scelto) e persino dal Superenalotto: al momento della stesura di questo articolo la quota jackpot assicurata nel caso di 6 punti risulta essere pari a 77.000.000€. Si tratta di una cifra esorbitante e che anche per questo può trarre in inganno, ma che è in realtà irrisoria se si pensa alla probabilità di estrarre effettivamente tutti e 6 i numeri fortunati, che è di 1/622.614.630. Lo stesso si può dire per i 5 punti, che pagano circa 32.000€ nonostante la probabilità di ottenerli sia una su oltre un milione e così via. Sviluppando i calcoli risulta che, mediamente, ogni euro giocato corrisponde ad una vincita inferiore ai 50 centesimi, da cui consegue che la cosa più conveniente da fare è non giocare.

La matematica di Affari tuoi ed il problema di Monty Hall

Per quanto riguarda il famoso programma televisivo Affari tuoi, la sfida prevede 20 pacchi di diverso valore, di cui la metà corrispondente ad una vincita inferiore ai 500 euro (i cosiddetti “pacchi blu”) e l’altra metà corrispondente a somme che vanno dai 5 a 300 mila euro (i cosiddetti “pacchi rossi”). Di questi, solo uno viene assegnato al giocatore, il quale durante il gioco dovrà scegliere quali scartare, sperando chiaramente di tenere per ultimi quelli dal valore maggiore e di ritrovarsi quindi con un pacco vincente. Durante l’apertura però, entra in scena il Dottore, che può decidere di proporre al giocatore di terminare il gioco in cambio di un’offerta o di sostituire il pacco con un altro tra quelli ancora in gioco. Dal punto di vista prettamente teorico e assumendo come unico obiettivo quello di assicurarsi la maggiore possibilità di vincere più denaro possibile, la strategia statisticamente migliore è quella di rifiutare qualsiasi offerta al di sotto del valor medio e di accettare il cambio solo in determinate situazioni che aumenterebbero la probabilità di vittoria.

Per quanto riguarda le offerte del Dottore quindi, basta calcolare direttamente la media probabilistica dei pacchi rimasti e valutare se la quota proposta è inferiore o maggiore. Per esempio, nel caso in cui i pacchi rimasti siano del valore di 0€, 1.000€, 20.000€ e 100.000€, il valore medio del pacco del concorrente (così come quello degli altri 3 pacchi in gara) sarebbe di 30.250€, il che significherebbe che le proposte inferiori a tale quota andrebbero teoricamente rifiutate. Tuttavia, osservando diverse puntate non sarà difficile accorgersi che le offerte del dottore sono spesso significativamente inferiori al valor medio in gioco. Il motivo però si basa presumibilmente sul fatto che, essendo un programma televisivo, le offerte devono garantire spettacolarità e suspense, giocando inoltre sul fatto che il concorrente non è una macchina ma un essere umano per cui, per i più svariati motivi, può risultare più comoda una somma garantita piuttosto che rischiare di tornare a casa a mani vuote.

Ma se le offerte possono essere più o meno discutibili in quanto suscettibili a motivi privati ed a bisogni economici, la scelta di cambiare o meno il pacco è prettamente teorica e probabilistica, e quindi determinata dall’avanzamento del gioco. Per capire quando è vantaggioso scambiare o meno il proprio pacco, può essere utile ragionare su un famoso quesito chiamato Problema di Monty Hall: si supponga di partecipare ad un programma televisivo dove sono presenti tre porte, di cui una contenente una lussuosa auto sportiva e due contenenti una capra. Al concorrente viene chiesto di scegliere una porta e, in seguito alla decisione, il conduttore apre una delle due contenenti una capra. Rimangono quindi due porte, di cui una contenente una capra e una l’auto, delle quali una chiaramente è stata scelta dal concorrente. Il conduttore decide così di proporre di scambiare la porta scelta inizialmente con la porta rimasta e lo scopo del quesito è capire quale sarebbe la scelta più conveniente e perché.

Il problema di Monty Hall. Credit: Wikipedia Commons

Nonostante possa risultare controintuitivo, la soluzione consiste nel scegliere di accettare il cambio, in modo da migliorare le proprie possibilità di vittoria dal 33,3% iniziale al 66,6%. Accettando lo scambio, infatti, è come se si stesse scommettendo sul fatto che la scelta iniziale sia stata perdente (che succede in due casi su tre) e che tale scelta venga sostituita in seguito con quella vincente. Se la spiegazione non dovesse bastare, può essere utile pensare a tutti i casi possibili: supponendo che l’auto si nasconda dietro alla seconda porta, rifiutando lo scambio la probabilità di vincita rimarrebbe sempre di 1/3, mentre accettando può succedere che:

  • Caso a) il concorrente sceglie la porta 1, il conduttore apre la 3, viene accettato lo scambio e vinta la macchina
  • Caso b) il concorrente sceglie la porta 2, il conduttore apre la 3, viene accettato lo scambio e viene persa la macchina (il concorrente riceve la porta 1 contenente la capra)
  • Caso c) il concorrente sceglie la porta 3, il conduttore apre la 2, viene accettato lo scambio e viene vinta la macchina

In due casi su tre quindi, accettando lo scambio si riceve la porta sperata e si vince il premio.

Applicando lo stesso principio ad Affari tuoi quindi, la regola per aumentare la probabilità di concludere la gara vincendo una quantità elevata di denaro è decidere di scambiare il proprio pacco soltanto se il numero dei pacchi blu in gioco risulta inferiore a quello dei rossi, assicurandosi così la speranza massima di vittoria.

[di Roberto Demaio]