Dopo il ferimento di una 15enne da parte di una 14enne mentre decine di coetanei le incitavano, Camilla Lavazza (Cfp Scar) scrive a cuore aperto a chi ha assistito senza intervenire: “Siete migliori di così”
Coinvolti un’auto e almeno due mezzi pesanti, in un tratto dove c’era una fitta nebbia. Le vittime sono due ragazzi, pesanti ripercussioni sul traffico
Verde, fiori, frutti e profumi. Da Milano a Pavia, da Bergamo a Bormio tra piante esotiche e specie medicinali, ecco i sei giardini da vedere almeno una volta
Questa donna, madre e cristiana non ha capito ancora che è la Presidente del Consiglio del paese e che quindi bisognerebbe avere un atteggiamento istituzionale.
Questa donna, madre e cristiana è convinta di essere ancora all’opposizione e di potersi permettere di comportarsi come tale.
Questa donna, madre e cristiana non ha capito che è lì per risolvere i problemi, non per rinfacciare quelli che non hanno risolto chi l’ha preceduta. Non è una scusa per coprire lo schifo che sta facendo da quando è al governo!
Questa donna, madre e cristiana è andata al governo promettendo mari e monti e mentre ci porta in guerra, si rende complice dei massacri in Palestina sostenendo Netanyahu e diventa la cameriera numero uno di Biden, fa le faccine come se stesse facendo uno sketch comico. No, non è un gioco e non c’è niente da ridere!
La Francia crea un’alleanza di paesi aperti allo stazionamento di truppe occidentali in Ucraina, ha annunciato il quotidiano Politico.
Il ministro degli Esteri francese Séjournet a tal proposito ha dichiarato:
“Non sarà la Russia a dirci come dovremmo aiutare gli ucraini nei prossimi mesi o anni. Non è lei che dovrebbe fissare le linee rosse. Lo decideremo tra di noi”.
Quindi amici, preparatevi alla guerra diretta tra l’Europa Occidentale e la Russia. La questione di qualche tempo e vedremo partire le truppe occidentali contro la Russia, come nel 1941, quando l’UE si chiamava “Terzo Reich”.
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Quanto sta accadendo fra Israele e Palestina «è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra». Papa Francesco è ospite a Cliché, magazine culturale di Lorenzo Buccella in onda sulla Radiotelevisione svizzera (RSI), in una puntata – il 20 marzo – dedicata al bianco, colore del bene, della luce, ma sul quale errori e sporcizia risaltano maggiormente. Fra le tante sporcizie c’è la guerra, in Ucraina e in Palestina. Ecco cosa ha raccontato.
Quanto sta accadendo fra Israele e Palestina «è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra». Papa Francesco è ospite a Cliché, magazine culturale di Lorenzo Buccella in onda sulla Radiotelevisione svizzera (RSI), in una puntata – il 20 marzo – dedicata al bianco, colore del bene, della luce, ma sul quale errori e sporcizia risaltano maggiormente. Fra le tante sporcizie c’è la guerra, in Ucraina e in Palestina. Ecco cosa ha raccontato.
In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa? «È un’interpretazione. Ma credo che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore».
Anche lei stesso si è proposto per negoziare? «Io sono qui, punto. Ho inviato una lettera agli ebrei di Israele, per riflettere su questa situazione. Il negoziato non è mai una resa. È il coraggio per non portare il Paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto….».
È il bianco del coraggio? «Va bene, è il bianco del coraggio. Ma delle volte l’ira che ti porta al coraggio non è bianca…».
Torniamo al 2020, alla preghiera in piazza San Pietro durante la pandemia. Lei era una macchia bianca in mezzo alle tenebre. «In quel momento si vedeva la macchia bianca, perché era notte, tutto era oscuro. È stata una cosa spontanea, fatta senza accorgermi che avrebbe avuto un grande significato, una cosa spontanea, sia la solitudine sia la preghiera».
In quel momento lei era concentrato su quello che voleva fare. Capiva anche, però, che il messaggio stava entrando in tutte le case, a tutte le persone che erano costrette a rimanere in casa? «Non me ne sono accorto in quel momento. Ho pregato davanti alla Salus Populi Romani e davanti al crocifisso in legno che hanno portato da via del Corso. Pensavo a ciò che dovevo fare, ma non mi sono accorto della trascendenza che ha avuto quel momento. Anche io ero provato. Avevo quella sofferenza e avevo il dovere del mediatore, del prete, di pregare per il popolo che soffre. Ho pensato a un passaggio biblico, quando Davide pecca nel fare il censimento di Israele e di Giuda e il Signore distrugge 70.000 uomini con una pestilenza. Alla fine, quando l’angelo della peste sta per colpire Gerusalemme, il Signore si commuove e ferma l’angelo perché ha pietà del suo popolo. Sì, io con questa peste pensavo e pregavo: “Signore commuoviti e abbi pietà del popolo che soffre questa peste”. Questa è la mia esperienza in quel giorno».
Sentiva la solitudine di quella piazza che era anche una solitudine fisica? «Sì, perché pioveva e non era facile».
Il bianco è il simbolo della purezza, dell’innocenza. L’abito bianco per eccellenza è il suo. Da dove nasce questa tradizione? E perché il Papa è vestito di bianco? «È stato un papa domenicano. Aveva l’abito domenicano, che è bianco. E da lì tutti i papi hanno usato il bianco. È nata lì. Se non sbaglio era Pio V, che è sepolto in Santa Maria Maggiore. Da lì nasce la tradizione che i papi vestono di bianco».
“La Chiesa usa i paramenti bianchi, per esempio, nelle domeniche di Pasqua, di Natale. Il bianco ha un significato anche di gioia, di pace, di cose belle”
Qual è il valore principale che ha il bianco per la Chiesa? «La Chiesa usa i paramenti bianchi, per esempio, nelle domeniche di Pasqua, di Natale. Il bianco ha un significato anche di gioia, di pace, di cose belle. Per esempio, nella messa dei defunti si usano i paramenti viola. È un significato di gioia e di pace, si usa nel tempo di Natale, nel tempo di Pasqua».
Per lei cosa ha significato indossare l’abito bianco quel 13 marzo del 2013, il giorno dell’elezione al soglio di Pietro? «Non ci ho pensato, soltanto penso alle macchie, perché questo è terribile: il bianco attira le macchie».
L’aveva già detto: più il vestito è bianco più le macchie diventano visibili… «È vero, è così».
Ma vale anche a livello simbolico, oltre alle macchie fisiche? «Sì, tante volte le macchie si vedono bene. Per esempio: una persona che è in un posto di servizio. Pensa a un prete, a un vescovo, a un Papa. Le macchie lì si vedono meglio perché quell’uomo è un testimone di cose belle, di cose grandi. E sembra che non debba avere macchie. Il bianco ci apre anche a questa sfida del non avere macchie».
Ma si possono non avere macchie? Lei ha sempre detto che è un peccatore… «Sì, siamo tutti peccatori. Se qualcuno dice che non lo è, sbaglia: tutti. È vero, un peccato sporca, sporca l’anima. E per simbologia possiamo dire che sporca anche il bianco. Quando penso al bianco penso ai bambini, al battesimo: tutti sono vestiti di bianco. Penso alla mia prima comunione, ho la fotografia della mia, in bianco. Il bianco ha un significato di purezza, di cose belle. Penso anche ai bambini, alle donne che si sposano. Il bianco è un colore forte, non è debole».
“C’è un tango argentino che rimprovera una donna che si sposa di bianco dopo aver vissuto una vita non buona. Il tango dice: «Quale scandalo, signora, vestirsi di bianco dopo che ha peccato». Cos’è la saggezza popolare…”
Sono tutti riti di passaggio: il bianco aiuta anche in questi passaggi? «C’è un tango argentino che rimprovera una donna che si sposa di bianco dopo aver vissuto una vita non buona. Il tango dice: “Quale scandalo, signora, vestirsi di bianco dopo che ha peccato”. Cos’è la saggezza popolare… Il bianco significa un’anima pura, un’anima con buone intenzioni: pensa al battesimo, alla prima comunione. Sono simbologie che dicono tanto».
Quando è diventato Papa è cambiata la sua relazione col bianco? «No, è la stessa. Ma non te ne accorgi: ti vesti di bianco, ma non te ne accorgi. Me ne accorgo quando vedo le macchie… È una cosa naturale».
È pesante la responsabilità che deve portare? «Questo sì, ma non dobbiamo drammatizzare. Tutti abbiamo delle responsabilità nella vita. E il Papa ha una responsabilità più grande, un capo di Stato più grande, un prete, una suora sono responsabili di testimonianza. Per me, per esempio, è più la responsabilità della testimonianza che quella delle decisioni. Perché con le decisioni mi aiutano in tanti qui dentro, preparano, studiano, e mi danno qualche soluzione. Invece, nella vita quotidiana, non hai tanto aiuto. Le decisioni sono anche pesanti».
E lì è quasi più difficile per lei? «Per me è più facile qui per tutto l’aiuto che ho. Se penso alla responsabilità è pesante. Ma il Papa ha tanti aiuti, tanta gente che l’aiuta».
Il Papa ha tanta gente che l’aiuta. Ma siccome è da solo, vestito in questo modo, come punto di riferimento può soffrire anche di solitudine. Può sentirsi solo in questa veste bianca? «Ci sono momenti di grande solitudine quando devi prendere una decisione, per esempio. Ma questo non è solo del Papa. Nella vita clericale, anche i vescovi sentono questo, o i preti… Anche un padre di famiglia, tante volte: pensa a quando deve prendere decisioni sui figli. O quando un matrimonio non va: prendere la decisione di allontanarsi. Sono decisioni che pesano tanto. Tutti noi come persone abbiamo situazioni di solitudine davanti a delle decisioni da prendere. Anche sposarsi: quando uno è solo dice, questo è per tutta la vita. Sono decisioni che pesano e si può dire che queste decisioni portano nella solitudine. E la solitudine è bianca. Non è neanche buia né nera, ma è bianca. C’è una solitudine brutta che è quella dell’egoismo. Quello di tante persone che guardano solo a loro stesse. Non è una solitudine bianca, quella, ma brutta».
Ci sono le macchie individuali e poi ci sono le macchie collettive, le grandi macchie che sporcano come le guerre. E cosa si può fare? «È un peccato collettivo questo. Mi diceva l’economo, un mese fa, mi dava il rendiconto di come stavano le cose in Vaticano – sempre in deficit -, mi diceva: lei sa dove oggi ci investimenti che danno più reddito? La fabbrica delle armi. Tu guadagni per uccidere. Più reddito: la fabbrica delle armi. Terribile la guerra. E non esiste una guerra bianca. La guerra è rossa o nera. Io questo lo dico sempre: quando sono stato nel 2014 al Redipuglia ho pianto. Poi lo stesso mi è successo ad Anzio, poi tutti i 2 novembre vado a celebrare in un cimitero. L’ultima volta sono andato al cimitero britannico e guardavo l’età dei ragazzi. Terribile. Questo l’ho detto già, ma lo ripeto: quando c’è stata la commemorazione dello sbarco in Normandia, tutti i capi di governo hanno celebrato quella data ma nessuno ha detto che su quella spiaggia sono rimasti ben 20’000 ragazzi».
“Ero in Slovacchia. La gente sentiva per la radio che il Papa passava e veniva per strada per vedermi. C’erano bambini, bambine, coppie giovani, e poi nonne. Mancavano i nonni: la guerra. È il risultato della guerra. Non ci sono nonni”
L’uomo ha la percezione netta di quello che le guerre comportano ma ci ricasca sempre. Penso anche a lei che con i suoi appelli… Come mai non si riesce a far passare il messaggio di quante vittime comporta la guerra? «Due immagini. Una che a me sempre tocca e la dico: l’immagine della mamma quando riceve quella lettera: “Signora abbiamo l’onore di dirle che lei ha un figlio eroe e questa è la medaglia”. A me importa del figlio, non della medaglia. Le hanno tolto il figlio e le danno una medaglia. Si sentono prese in giro… E poi un’altra immagine. Ero in Slovacchia. Dovevo andare da una città a un’altra in elicottero. Ma c’era maltempo e non si poteva. Ho fatto il tragitto in macchina. Sono passato per diversi paesini. La gente sentiva per la radio che il Papa passava e veniva per strada per vedermi. C’erano bambini, bambine, coppie giovani, e poi nonne. Mancavano i nonni: la guerra. È il risultato della guerra. Non ci sono nonni».
Non c’è fotografia più forte di questa per far capire l’eredità che lascia la guerra. «La guerra è una pazzia, è una pazzia».
La colomba è il simbolo della pace, è il segnale che la guerra è finita. Ma poi c’è il dopoguerra, che comunque è un altro momento in cui si devono ricucire tutte queste ferite… «C’è un’immagine che a me viene sempre. In occasione di una commemorazione dovevo parlare della pace e liberare due colombe. La prima volta che l’ho fatto, subito un corvo presente in piazza San Pietro si è alzato, ha preso la colomba e l’ha portata via. È duro. E questo è un po’ quello che succede con la guerra. Tanta gente innocente non può crescere, tanti bambini non hanno futuro. Qui vengono spesso i bambini ucraini a salutarmi, vengono dalla guerra. Nessuno di loro sorride, non sanno sorridere. È un bambino che non sa sorridere sembra che non abbia futuro. Pensiamo a queste cose, per favore. La guerra sempre è una sconfitta, una sconfitta umana, non geografica».
Come le rispondono i potenti della terra quando chiede loro la pace? «C’è chi dice, è vero ma dobbiamo difenderci… E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difenderci no, distruggere. Come finisce una guerra? Con morti, distruzioni, bambini senza genitori. Sempre c’è qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi».
La guerra è sempre associata all’oscurità, alle tenebre. «Una guerra è tenebrosa, sempre, oscura. Il potere dell’oscuro. Quando si parla di bianco si parla di innocenza, di bontà e di tante cose belle. Ma quando si parla dell’oscuro, si parla del potere delle tenebre, di cose che non capiamo, di cose ingiuste. La Bibbia parla di questo. Le tenebre hanno un potere forte di distruggere. È un modo letterario di dirlo, ma quando una persona uccide – pensiamo a Caino, ad esempio -, è una persona tenebrosa. Quando una persona si occupa soltanto del proprio beneficio, ad esempio con gli operai, questa persona uccide moralmente altra gente. O penso a un padre di famiglia che non riesce a vedere i suoi figli addormentarsi la sera perché arriva tardi e di mattina esce presto per avere uno stipendio… questa persona è tenebrosa, è nera».
Ma tutti noi rischiamo di avere un po’ di tenebre dentro di noi… «Siamo peccatori, e un po’ di tenebra l’abbiamo».
Anche un Papa. «Anche un Papa. Tutti abbiamo un po’ la saggezza di conoscere cosa succede. E tante volte noi non capiamo cosa succede».
Può essere anche un lungo percorso. «Tutta una vita, ma quando tu cerchi tutta una vita di sistemare bene, di correggere le cose, arriverai a una cosa molto bella che è la vecchiaia felice. Penso a quei vecchi, quelle vecchiette con gli occhi trasparenti, sono stati giusti, hanno lottato… Pensiamo un po’ alla vecchiaia. Possiamo dire la vecchiaia bianca, quella vecchiaia bella, trasparente».
Ma lei crede di viverle queste sensazioni adesso, per esempio la trasparenza, in questo momento? «Cerco di non essere bugiardo, di non lavarmi le mani sui problemi altrui. Cerco, sono peccatore, e alle volte non riesco a fare così. Poi quando non riesco vado a confessarmi».
Quale rapporto ha un Papa con l’errore? «È forte, perché quanto più una persona ha potere corre il pericolo di non capire le scivolate che fa. È importante avere un rapporto autocritico con i propri errori, con le proprie scivolate. Quando una persona si sente sicura di sé stesso perché ha potere, perché sa muoversi nel mondo del lavoro, delle finanze, ha la tentazione di dimenticarsi che un giorno starà mendicando, mendicando giovinezza, mendicando salute, mendicando vita… è un po’ la tentazione dell’onnipotenza. E questa onnipotenza non è bianca. Tutti dobbiamo essere maturi nei nostri rapporti con gli errori che facciamo, perché tutti siamo peccatori».
“C’è la persona verniciata, diciamo così, che sa nascondere le proprie debolezze e si presenta in modo artificiale. Quindi abbiamo questo problema di fare finta di…”
Abbiamo parlato spesso di come una cosa o l’altra dipende dallo spirito con cui la si fa. Il bianco solitamente si accompagna a delle cose belle, ma c’è anche il rischio di un bianco di facciata, della vernice che usiamo per nascondere l’ipocrisia. Ci può essere questo rischio? «C’è la persona verniciata, diciamo così, che sa nascondere le proprie debolezze e si presenta in modo artificiale. Quindi abbiamo questo problema di fare finta di… E questa si chiama ipocrisia, le persone ipocrite… tutti abbiamo un pochettino di ipocrisia».
Anche la società stessa può essere ipocrita, ad esempio facendo le guerre e poi mandando aiuti umanitari… «Interventi umanitari? Si alle volte sono umanitari, ma sono per coprire anche un senso di colpa. E non è facile».
Il bianco è anche un colore neutrale. Quando ci sono contrasti tra ideologie diverse, anche tra persone diverse, è un valore la neutralità per lei? «Tanto. Alla base della nostra vita possiamo parlare della pagina in bianco. Non si dice la pagina nera, la pagina verde, la bandiera gialla… quando si parla di una pagina da scrivere è una carta bianca. E ognuno deve scrivere lì le proprie decisioni, sul bianco che è la vita. La vita è una carta in bianco e sarà bella se tu riesci a scrivere su quella carta una cosa bella, ma se tu scrive cose brutte non sarà bella quella pagina».
Foer riporta dei crescenti episodi di “antisemitismo” nelle scuole che, a quanto pare, si sarebbero manifestati nella forma di forti critiche nei confronti del genocidio dello stato ebraico contro il popolo palestinese.
Il giornalista non considera l’antisemitismo sullo stesso piano dell’antisionismo ma individua in queste esternazioni comunque un “male” profondo che, a suo dire, affligge l’America.
Quello di un crescente rifiuto del mondo ebraico, o meglio di coloro che sono stati i massimi esponenti e rappresentanti di questa élite che ha avuto un ruolo predominante negli Stati Uniti e nel mondo intero nel secolo scorso.
Questo mondo ama molto la vittimizzazione di sè stesso. Quando qualcuno prova a denunciare, ad esempio, i crimini dello stato di Israele oppure quando prova a ricordare quanto c’è scritto nel testo “sacro” della moderna religione giudaica, il Talmud, viene immediatamente investito dell’accusa di essere un “antisemita”.
Non ha importanza che quanto detto dall’interlocutore possa essere vero oppure no. Ciò che ha importanza è la demolizione sistematica del messaggero che deve trovarsi addosso il marchio dell’infamia di essere un “antisemita” per aver detto delle pure verità su quello che riguarda Israele o più in generale il mondo ebraico.
Foer ora si scandalizza che stia maturando un sentimento contro lo stato di Israele e si stupisce che i giovani inizino a considerare con ostilità coloro che difendono Israele e la lobby sionista.
Non si sofferma ovviamente a guardare, come fanno gli altri intellettuali ebraici, le cause di questa ostilità.
Non si sofferma a guardare i corpi maciullati dei palestinesi che vengono bombardati persino quando vanno a prendere il panein un’azione che se fosse stata fatta da qualsiasi altro stato al mondo a quest’ora sarebbe stata condannata all’unanimità.
Nessuno può permettersi i crimini che commette Israele e nessuno può passare indenne alla condanna della comunità internazionale come ha potuto fare per più di 70 anni lo stato ebraico.
Questa interminabile serie di ingiustizie e crimini commessi contro un popolo, quello palestinese, si è potuta attuare soltanto perché dietro Israele esiste un potere tremendamente più “grande” e potente dello stato ebraico che travalica i confini israeliani per giungere a Londra, a New York e in tutte quelle centrali del potere della finanza askenazita.
Coloro che chiedono indipendenza e sovranità per le proprie nazioni sono “antisemiti”. Coloro che non vogliono finire invasi da un’orda di immigrati clandestini e sostituiti etnicamente dal “meticciato” così caro proprio ad alcuni intellettuali ebraici come Corrado Augias sono “antisemiti” e coloro che denunciano il massacro in atto contro il popolo palestinese.
Se il mondo non si conforma ai desideri e alle volontà di questa lobby, in ogni sua forma e pensiero, allora è il mondo ad essere “antisemita” e il male deve stare necessariamente non all’interno di questa élite ma al di fuori, in coloro che non vogliono abiurare la tradizione cristiana per erigere la società “razionale” dei diritti umani.
Alcuni intellettuali ebraici hanno avuto dei fremiti di onestà e hanno riconosciuto che se nel corso dei secoli le varie comunità ebraiche hanno avuto così tanta difficoltà a integrasi nei Paesi che li hanno accolti dopo la diaspora è perché esistono dei problemi all’interno di tali comunità e non al di fuori di esse.
Uno di questi Bernard Lazare nel suo saggio del 1894 intitolato “L’antisemitismo e le sue cause” si profondeva in questa lucida e alquanto realistica riflessione.
Se questa ostilità, persino avversione, fosse stata mostrata verso gli ebrei in un dato periodo e in un dato Paese, sarebbe facile individuare le cause limitate di questa rabbia, ma questa razza è stata al contrario l’oggetto di un odio di tutti i popoli tra i quali si è stabilita. Deve esserci quindi, dal momento che i nemici degli ebrei sono appartenuti alle razze più diverse, dal momento che hanno vissuto in Paesi molto distanti gli uni dagli altri, governati da opposti principi, dal momento che non avevano la stessa morale né gli stessi costumi, dal momento che erano animati da leggi diverse che non permettevano loro di giudicarli in nulla allo stesso modo, di conseguenza la causa generale dell’antisemitismo è sempre risieduta nella stessa Israele e non in coloro che hanno combattuto contro Israele.”
Se qualsiasi nazione, cristiana o meno, europea o araba, ha avuto delle difficoltà nei secoli passati con le comunità ebraiche ciò non può spiegarsi con una generale “ostilità” nei riguardi degli ebrei in quanto mondi completamente differenti gli uni dagli altri hanno avuto problemi con essi.
Gli ebrei per secoli sono stati un popolo errante e hanno spesso rifiutato di integrarsi con i Paesi, soprattutto cristiani, che li accoglievano.
Ciò si spiega con il sentimento suprematista che è presente nel Talmud, secondo il quale, coloro che non sono ebrei sono di natura inferiore e considerati al pari di bestiame, goy, nella lingua ebraica.
Non si può comprendere lo spirito che anima i leader di questo mondo se non si comprende in qualche modo la loro filosofia o “spiritualità”.
Questi si considerano il popolo eletto e non hanno alcun rispetto per la vita umana. Ciò però non vale per l’intera comunità ebraica.
A nostro avviso, nel corso della storia, si è dimostrato che le prime vittime di questa espressione suprematista dell’ebraismo sono stati gli ebrei stessi anche quando dopo molti secoli erano riusciti ad integrarsi nei Paesi europei che non avevano nessuna intenzione di lasciare per andare in Israele.
Lo si è visto ai tempi del nazismo quando la lobby sionista assistita da personaggi quali gli esponenti della famiglia Rothschild, i banchieri Kuhn, Loeb, Morgan e Warburg, firmavano un patto con il regime nazista per spingere forzatamente gli ebrei tedeschi fuori dalla Germania nazista e farli migrare negli aridi deserti della Palestina.
Il paradosso non raccontato dai libri di storia è che il nazismo fu il movimento politico che diede il contributo maggiore alla causa sionista per il semplice fatto che Hitler sin dal principio era stato aiutato caldamente da certi ambienti che lo avevano sostenuto e finanziato.
Quello che però costata con amarezza e rassegnazione è la fine del vecchio status quo che aveva dato ai signori di questa lobby un potere praticamente immenso.
Nessuno può negare che in Europa come negli Stati Uniti, gli esponenti del mondo ebraico hanno avuto un ruolo di primo piano nel modellare l’edificio della democrazia liberale.
La cultura liberale è stata sotto certi aspetti espressione di questo mondo. Le organizzazioni liberali americane che hanno promosso il culto dei diritti civili come la NAACP, l’associazione nazionale per l’avanzamento delle persone di colore e l’Anti-defamation League, sono state tutte presiedute da membri della comunità ebraica.
La democrazia liberale, con gli annessi diritti umani, è la dottrina politica che il mondo ebraico ha promosso per tutto il XX secolo.
Si è giunti persino al punto dopo il dopoguerra di istituire un’altra religione civile creata dal liberal-progressismo su ordine dei mandanti che controllano tale sistema politico, i signori della finanza askenazita, che altro non è che la religione olocaustica.
Non sono mai esistite nella storia dell’umanità delle leggi che imponevano agli uomini e alle donne di adeguarsi ad una visione della storia e ad un suo particolare racconto.
Quello che oggi viene definito dai liberali come il sistema politico migliore di sempre, la democrazia, è il sistema che manda in carcere coloro che non sono d’accordo con la narrazione della storiografia ufficiale sulla persecuzione degli ebrei nel secondo dopoguerra.
E tale sistema politico che ha varato una delle leggi più oppressive di sempre per ciò che riguarda lo studio e la ricerca storiografica è lo stesso che poi ipocritamente pretende di impartire lezioni sul culto dei diritti umani ad altre culture e Paesi che spesso non sono “colpevoli” tanto agli occhi del liberalismo di aver violato il tempio umanitarista, ma piuttosto sono responsabili di non aver svenduto il proprio Paesi agli interessi finanziari e geopolitici che governano l’Occidente.
Questo è stato il secolo XX, non un secolo breve come lo definì l’intellettuale comunista britannico di origini ebraiche, Hobsbawm, ma il secolo ebraico
Gli ebrei nel 900 si sono affermati nelle arti, nelle scienze e nella politica come mai avevano fatto prima. Interminabile la lista di uomini e donne di origine ebraica che hanno avuto un ruolo di rilievo nella vita pubblica, tra i quali ci sono Albert Einstein, membro anche dell’associazione Paneuropa del conte Kalergi, Robert Oppenheimer, Steven Spielberg, Hanna Arendt, Barbra Streisand, Woody Allen, Larry King soltanto per citarne alcuni in quella che altrimenti sarebbe una interminabile lista.
E’ stato il secolo questo nel quale più di tutti si è affermato lo spirito di questa comunità e dei suoi leader. E’ stato il secolo nel quale è nato lo stato di Israele e nel quale la finanza ebraica di New York e Londra ha accumulato un potere finanziario come mai lo aveva avuto in passato.
Il passaggio dal sistema feudale a quello borghese liberale ha trasferito un enorme potere in quelli che una volta erano chiamati usurai.
E la religione illuminista dei diritti umani è quella che ha rimodellato l’Europa antica cristiana trasformandola in una creatura più simile a quella che volevano i nascenti finanzieri e banchieri che si sono imposti sulla scena politica europea tra il XVII e il XVIII secolo.
Nel suo saggio, “I pionieri della rivoluzione russa” , l’intellettuale ebreo, Angelo Rappaport scriveva quanto segue.
“Molto prima che questi fossero formulati in francese, i principi dei Diritti dell’Uomo furono annunciati in ebraico.”
Rappaport esalta lo spirito rivoluzionario ebraico che è stato il padre, per così dire, del culto dei diritti umani che si è imposto dopo la rivoluzione francese e che ha cercato con ogni mezzo di sostituire la religione cristiana.
Questo è il passaggio che si è compiuto con il 1789 della Francia e questo è il sistema di “valori” che si è imposto sull’Europa.
Quello che preoccupa adesso questi signori è la fine del vecchio mondo liberale che essi avevano costruito.
L’America e il resto del mondo piuttosto che andare verso una ulteriore centralizzazione del potere verso le organizzazioni sovranazionali e i superstati voluti da Kalergi e Churchill si incammina nella direzione opposta.
L’internazionalismo muore, la globalizzazione si smantella, l’apparato militarista della NATO è sempre più in crisi e l’arma finanziaria di questo conglomerato, il dollaro, perde sempre più influenza.
I popoli riscoprono la voglia e la necessità di tornare alle loro origini e alle loro antiche tradizioni.
Muore di conseguenza il liberalismo che aveva la pretesa di sostituire le radici cristiane dell’Europa per assecondare il potere di questa lobby.
Questo è ciò che sconcerta di più personaggi quali Foer. Li sconcerta che sia finito il secolo XX. Li sconcerta che sia finito il secolo ebreo.
Dal primo ottobre 2024, verrà ufficialmente inaugurata la nuova patente a punti per la sicurezza sul lavoro nel settore dell’edilizia. Nel decreto PNRR approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, è stato infatti introdotto un sistema di crediti – si parte da trenta “punti” totali – che coinvolgerà imprese e lavoratori autonomi, i quali, per poter continuare a operare nel loro campo, ne dovranno obbligatoriamente possedere almeno quindici. Sulla scorta di quanto avviene per la patente di guida, si subiscono decurtazioni a seconda delle violazioni che vengono consumate: da 5 crediti per quelle di minore entità, passando da 15 in caso di inabilità permanente, assoluta o parziale del lavoratore, per poi arrivare a 20 crediti in caso di morte sul lavoro. I 15 crediti richiesti potranno però essere recuperati in seguito a un corso di formazione, permettendo così di tornare in attività. Il governo ha presentato le misure incontrando le parti sociali, ma la discussione non ha portato ai risultati sperati. Se la Cisl parla di norme “in parte condivisibili”, la maggior parte dei sindacati sono ampiamente insoddisfatti: Cgil e Uil promettono battaglia, bocciando metodo e merito della norma; sulle barricate anche l’Unione Sindacale di Base, che parla di “misure improvvisate e insufficienti” che nascondono “imbrogli”.
Anche in questo contesto l’esecutivo segue, insomma, la medesima scia che ha contraddistinto la sua azione fino ad ora, come ben testimoniano i casi di Cutro e Caivano: intervenire con norme ad hoc dopo il verificarsi di tragedie o fatti di cronaca che diventano mediatici. Ed ecco che, dopo il crollo del cantiere del nuovo Esselunga di Firenze, il governo vara una bozza del provvedimento che, oltre al sistema dei crediti, prevede anche l’introduzione di misure per il rafforzamento del personale ispettivo. La patente a punti verrà rilasciata ad imprese e autonomi direttamente dall’Ispettorato nazionale del lavoro, chiamato anche a stabilire le sanzioni per chi non ne è in possesso o ha un un numero di crediti inferiore a 15 (che potrà essere colpito con una multa da 6mila a 12mila euro e non potrà operare nei cantieri edilizi temporanei o mobili). In determinati casi, l’Ispettorato del lavoro potrà anche sospendere in via cautelativa la patente fino a un massimo di un anno. In prima linea contro i contenuti della norma ci sono Cisl e Uil. «Il clima non è quello che ci dovrebbe esserci quando si parla di morti sul lavoro – ha attaccato il segretario Uil Pierpaolo Bombardieri -. Tra le risposte la patente a crediti c’è, ma la vita di un lavoratore vale 20 crediti: si può lavorare con 15 e 5 si recuperano con un corso di formazione…». Maurizio Landini, segretario della Cgil, ha detto che il metodo di confronto è stato «totalmente inadeguato», criticando il fatto che la patente a punti non sia stata prevista per tutti i settori ma «solo per gli edili» e chiedendo di «avviare una vera trattativa per realizzare un piano nazionale di prevenzione e protezione della salute e sicurezza sul lavoro».
A scagliarsi in maniera ancora più netta contro l’esecutivo è stata l’USB. “La vera questione al fondo della condizione di abbassamento delle tutele sulla sicurezza, la ricattabilità alla quale sono sottoposti i lavoratori, non è stata nemmeno sfiorata – si legge in una nota–. La delegazione dell’USB ha sottolineato la necessità di intervenire sui salari, sul sistema degli appalti e sulla necessità di rompere il legame tra contratto e permesso di soggiorno, tutti fattori che incidono sulla ricattabilità di chi lavora. In particolare abbiamo chiesto che tutti i lavoratori in appalto godano degli stessi trattamenti e delle identiche garanzie dei lavoratori diretti e che si ristabiliscano criteri oggettivi alla base degli appalti, rompendo con la logica di risparmiare sulla pelle dei lavoratori e deresponsabilizzare le direzioni aziendali”. «Incontrando i rappresentanti del governo abbiamo constatato il loro imbarazzo sulla questione delle risorse – ha dichiarato Guido Lutrario, portavoce nazionale USB -. Hanno parlato di 32 milioni, ma questa quota non costituisce una spesa aggiuntiva, bensì il recupero di risorse già previste, riciclate sotto altro nome. Raccontano che il governo ha deciso un intervento straordinario in questo settore, ma quando si appura che le risorse provengono da stanziamenti già previsti si capisce che non vi è alcun elemento di straordinarietà». In merito all’area di coinvolgimento della patente a punti, Lutrario non ha dubbi: «Le criticità riguardano anche tutti gli altri settori, il fatto di volerla restringere solo all’ambito edilizio è sintomo che hanno ridotto al minimo l’intervento possibile». Il portavoce rilancia inoltre sull’urgenza dell’introduzione del reato di omicidio e di lesioni gravi o gravissime sul lavoro, poiché «l’evanescenza del nostro sistema di leggi a protezione della sicurezza sul lavoro fa sentire sicuri datori di lavoro, che risparmiano sulle misure di sicurezza».
Domani sul palco degli Arcimboldi con il suo “Tutti i sogni ancora in volo”, quarta replica. Sabato “l’uomo delle rose rosse” al Teatro di Varese e il 5 aprile al Donizetti di Bergamo
Milano – «Partono ‘e bastimente, pe’ terre assaje luntane, cántano a buordo, só’ napulitane” dice una canzone cara a Massimo Ranieri quale “Santa Lucia luntana” evocando a suo modo l’inizio di quella vita d’artista che l’ex scugnizzo del Pallonetto rovescia domani sul palco degli Arcimboldi col suo “Tutti i sogni ancora in volo”, arrivato alla quarta replica milanese in tre anni di tournée. Un viaggio in bilico sulla sua vita e sulle sue canzoni propiziato nel 2022 dall’arrivo in libreria della biografia omonima, avviato da Giovanni Calone (come si chiama all’anagrafe) dopo l’esperienza decennale di “Sogno e son desto”. Sabato l’uomo delle rose rosse replica al Teatro di Varese e il 5 aprile al Donizetti di Bergamo, ultima tappa italiana prima di volarsene in Australia per due concerti .
Massimo, cominciamo dai bastimenti.
“Le canzoni sull’emigrazione mi prendono molto, perché emigrante in fondo lo sono stato anch’io all’età di 13 anni, quando andai in America per fare da spalla al grande Sergio Bruni. Durante quella trasferta pure mia madre perse le tracce e andò a chiedere mie notizie al consolato americano di Napoli. New York rappresentò una scoperta, pensavo fosse in bianco e nero così come la vedevo in tv alle spalle di Ruggero Orlando durante i suoi servizi al telegiornale. E invece era a colori, piena di vita”.
Fortuna lei ne ha avuta pure nella prosa.
“Peppino Patroni Griffi fu il mio mentore teatrale, al cinema avevo già fatto ‘Metello’ e altri film, ma sui palcoscenici niente. Quando mi propose di lavorare assieme, gli dissi che stavo partendo militare e lui rispose che avrebbe aspettato. Mi fece scoprire un mondo incredibile, grazie anche ai due atti unici di un grandissimo drammaturgo come Raffaele Viviani. Debuttammo con enorme successo al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Fu lui a dirmi che prima o poi avrei dovuto lavorare con Strehler”.
Con Strehler iniziò nel 1980, grazie al Brecht de “L’anima buona di Sezuan”.
“Accettai senza neppure leggere il copione. Debuttammo al Lirico, perché lo spettacolo aveva bisogno di spazio, dopo ben quattro mesi e mezzo di prove. Io interpretavo l’aviatore Yang Sun, un personaggio bellissimo, molto poetico, un grande vigliacco”.
Attrici che gli hanno segnato l’esistenza dentro e fuori dal set?
“Anna Magnani. Aveva sempre un sorriso per me ragazzino timoroso addirittura di salutarla. Non averla potuta salutare prima della morte è un grande rammarico della mia vita”.
L’interesse verso una cura della pelle consapevole e salutare è in costante crescita, con un’attenzione particolare rivolta ai prodotti che promettono non solo efficienza, ma anche delicatezza e rispetto per il nostro organismo. In questo contesto, i prodotti con acqua termale emergono come protagonisti di un nuovo approccio al benessere cutaneo, distinguendosi per le loro proprietà uniche e i benefici che possono offrire.
L’acqua termale: una fonte di benessere per la pelle
L’acqua termale non è un’acqua comune. La sua origine risale a percorsi sotterranei dove, nel corso di anni, si arricchisce di minerali e oligoelementi. Quando questa acqua affiora, porta con sé una composizione unica che offre molteplici benefici per la pelle. I prodotti formulati con questa preziosa risorsa sono apprezzati per la loro capacità di idratare, lenire e proteggere la pelle, rendendoli adatti anche per i tipi più sensibili e reattivi.
L’importanza della selezione dei prodotti
Tra i marchi che hanno saputo valorizzare le proprietà dell’acqua termale nei loro prodotti, Avène si distingue per il suo impegno nel fornire soluzioni adatte a ogni esigenza cutanea. I prodotti Avène, noti per la loro elevata tollerabilità e efficacia, rappresentano un esempio eccellente di come l’acqua termale possa essere sfruttata per migliorare la salute e l’aspetto della pelle.
Benefici dell’acqua termale sui diversi tipi di pelle
L’utilizzo di cosmetici all’acqua termale è particolarmente benefico per la pelle, grazie alla loro capacità di agire delicatamente, senza aggredire o irritare. Questi prodotti sono in grado di offrire sollievo immediato da rossori, pruriti e irritazioni, contribuendo nel contempo a rafforzare la barriera cutanea contro le aggressioni esterne. La loro azione lenitiva è particolarmente apprezzata da chi soffre di condizioni come dermatite, eczema o psoriasi, dimostrando come l’acqua termale possa essere un alleato prezioso nella gestione di problematiche cutanee complesse.
L’acqua termale e l’anti-aging
Non solo comfort e sollievo: i cosmetici all’acqua termale giocano un ruolo importante anche nella prevenzione e cura dei segni del tempo. Grazie alla ricchezza di minerali e alla loro capacità di stimolare la microcircolazione, questi prodotti contribuiscono a migliorare l’elasticità e la tonicità della pelle, combattendo la formazione di rughe e linee sottili. Inoltre, la presenza di antiossidanti aiuta a proteggere la pelle dall’invecchiamento precoce causato dai radicali liberi, conferendo un aspetto più giovane e radioso.
Scegliere i prodotti giusti: consigli e raccomandazioni
La scelta dei prodotti all’acqua termale deve essere guidata da una comprensione delle proprie esigenze cutanee. È importante selezionare formulazioni adatte al proprio tipo di pelle, considerando texture, ingredienti attivi e specificità del prodotto. Consultare un dermatologo può essere utile per ricevere consigli personalizzati e sfruttare al meglio i benefici offerti dall’acqua termale. Inoltre, è consigliabile optare per prodotti di marchi rinomati e specializzati, che garantiscono la qualità e l’efficacia delle formulazioni.
L’attenzione verso i cosmetici all’acqua termale riflette una tendenza più ampia verso la ricerca di prodotti più naturali, delicati e rispettosi dell’ambiente. Questo movimento, che privilegia ingredienti di origine naturale e formule meno aggressive, è in linea con una crescente consapevolezza circa l’importanza di prendersi cura della propria pelle in modo sostenibile e consapevole. La scelta di prodotti all’acqua termale, quindi, non solo beneficia la pelle ma si inserisce in un contesto più ampio di benessere e rispetto per il nostro pianeta.
L’interesse verso questi prodotti è motivato non solo dalle loro proprietà benefiche ma anche da una maggiore consapevolezza dei consumatori riguardo alla composizione dei cosmetici e al loro impatto sulla salute della pelle e sull’ambiente. La trasparenza e l’impegno dei marchi nel promuovere formule sicure, efficaci e rispettose dell’ecosistema contribuiscono a consolidare la fiducia dei consumatori e a guidare le loro scelte verso prodotti più sostenibili e consapevoli.
I cosmetici all’acqua termale rappresentano una soluzione ideale per chi cerca prodotti efficaci, delicati e adatti anche alle pelli più sensibili. La loro capacità di idratare, lenire e proteggere la pelle, unita ai benefici anti-aging e alla loro azione benefica su problematiche cutanee specifiche, li rende un alleato prezioso nella routine di bellezza quotidiana. La scelta di integrare questi prodotti nella propria cura della pelle non solo può migliorare significativamente l’aspetto e la salute del viso ma anche contribuire a promuovere un approccio al benessere più naturale e rispettoso dell’ambiente.
Secondo l’Eurispes il bullismo è ancora più frequente nella scuola primaria e secondaria di primo grado (82%). Il 43,3% dei docenti degli istituti professionali e licei denuncia inoltre episodi di spaccio di stupefacenti
08 febbraio 2024
AGI – Il bullismo è una realtà diffusa: il 79,8% dei docenti delle superiori ne documenta la presenza tra gli studenti, ancora più preoccupante il dato rilevato nella primaria e secondaria di primo grado (82%), qui, inoltre, vengono fornite, da oltre tre quarti dei docenti, testimonianze circa le difficoltà di integrazione degli alunni diversamente abili (alle superiori il dato si attesta all’78% circa).
È quanto emerge dal secondo Rapporto Nazionale sulla scuola e l’università dell’Eurispes. Il 43,3% dei docenti degli istituti professionali e licei, denuncia episodi di spaccio di sostanze stupefacenti tra alunni. In molti riferiscono almeno un caso di furto (65%) o danneggiamenti (78,1%) all’interno della struttura scolastica.
Sempre nelle secondarie di secondo grado al 17,6% del personale docente è capitato di subire minacce da parte degli studenti, ma preoccupano gli episodi di violenza: un insegnante su quattro (25%) è stato vittima di violenza da parte degli alunni, almeno una volta nel corso della vita professionale.
Milano – È iniziata verso le 16 di oggi giovedì 1 febbraio la marcia dei trattori per le strade di Milano. Inevitabili i problemi alla circolazione in città. I mezzi sono entrati a Milano da Rogoredo e dalla zona di Corvetto, nel sud della città: sono in fatti una “costola” del presidio di protesta a Melegnano.
Nel primo pomeriggio, dal concentramento sulla provinciale Binasca, si è staccata una delegazione di circa 50 trattori degli agricoltori del coordinamento nazionale Riscatto agricolo per raggiungere intorno alle 18 il Pirellone, sede del consiglio regionale lombardo.